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Un esame maturato fin troppo

Maturità 2014, Day one. Oggi giorno di scritti: il primo, quello uguale per tutti, il tema. Del mezzo milione di ragazzi che sostengono la Maturità in tutta la Penisola, duemilasettecento li abbiamo qui intra Tevero et Arno, per cui statisticamente è piuttosto probabile che tu che mi stai leggendo abbia dovuto sopportare i miagolii di almeno un “condannato” agli esami, o sia tu stesso un maturando (Christe eleison!).

In un’epoca in cui il servizio di leva o civile è volontario e le scelte impegnative (lavoro, famiglia) si rimandano sempre più in là negli anni, la Maturità è rimasta l’unico grande punto di riferimento nella vita dei giovani: un traumatizzante spartiacque, una prova del fuoco che separa l’adolescenza dalla giovinezza, l’età in cui si dipende dai grandi da quella in cui si dipende comunque dagli altri ma si fa finta di essere indipendenti (e che ormai si prolunga fino quasi a quarant’anni).

Per indicarvi il mio punto di vista su questi esami, non ho bisogno di rievocare quello che passai otto anni fa (è molto più divertente la cronaca di Donato), né di farvi la solita conferenza dotta su Croce e l’umanesimo. Parto dalla prima traccia, fresca fresca, che oggi la Benemerita ha consegnato i professori della Commissione, quella di analisi del testo.

L’analisi del testo era, quando andavo al Liceo, la mia scelta preferita, tra le sette possibili. Per uno che frequentava il Classico e aveva velleità umanistiche (ero abbastanza fissato con la letteratura, e lo sono tutt’ora), la tipologia A aveva il pregio di a) non avere un’estensione obbligatoria e b) contenere una traccia degli argomenti da seguire. In altri termini un grafomane come me poteva tranquillamente spingersi oltre la mitologica quarta colonna del primo foglio a protocollo, senza avere la preoccupazione di non sapere come sviluppare l’argomento richiesto (nell’analisi del testo rispondi alle domande, non devi inventarti un testo di sana pianta come nel saggio breve). Se a ciò aggiungete che, caso più unico che raro, l’anno della mia Maturità uscì all’Esame la stessa identica poesia che avevo inserito nella mia Tesina (l’oscura Isola di Giuseppe Ungaretti), capite perché sono rimasto tanto soddisfatto della scelta.

Ma torniamo a noi. Il testo di Salvatore Quasimodo uscito stamani è molto bello. Bello come lo può essere un coccio appeso alla parete della casa di vostra nonna. O quelle poltrone esposte dagli antiquari di Rugapiana. Il rimpianto dell’infanzia perduta, la luna, una spruzzatina di eau de Sicile, insomma un vestito perfetto per un Esame che ha compiuto l’anno scorso le novanta primavere.

Forse è un segno vero della vita:
intorno a me fanciulli con leggeri
moti del capo danzano in un gioco
di cadenze e di voci lungo il prato
della chiesa. Pietà della sera, ombre
riaccese sopra l’erba così verde,
bellissime nel fuoco della luna!
Memoria vi concede breve sonno;
ora, destatevi. Ecco, scroscia il pozzo
per la prima marea. Questa è l’ora:
non più mia, arsi, remoti simulacri.
E tu vento del sud forte di zàgare,
spingi la luna dove nudi dormono
fanciulli, forza il puledro sui campi
umidi d’orme di cavalle, apri
il mare, alza le nuvole dagli alberi:
già l’airone s’avanza verso l’acqua
e fiuta lento il fango tra le spine,
ride la gazza, nera sugli aranci.

Non voglio stare qui a discutere della scelta di Quasimodo, autore discretamente celebrato in vita (fu persino premiato col Nobel) e oggi quasi dimenticato. Ogni tanto si potrà pur fare qualcosa che non sia i soliti Montale e Ungaretti (tre prove a testa dal 1999, anno di introduzione di questa tipologia)!

Il problema è che Quasimodo è morto nel 1968, quasi trent’anni prima che nascessero i maturandi di oggi. Se si esclude Claudio Magris, singolare sopresa degli esami 2013 (è ancora vivo, Deo gratias, pur con i suoi 75 anni), gli autori dei testi da analizzare dalla Riforma Berlinguer in poi sono sempre del Novecento e sempre morti da un pezzo. Prima metà del Novecento, direi, almeno per quello che riguarda le loro opere principali. Ora non voglio discuterne la grandezza – guai a chi mi tocca Montale, ho persino il costosissimo Meridiano dell’opera poetica. Ma è possibile portare questi ragazzi all’esame con un programma di storia che arriva, se va bene, alla Liberazione e un programma di letteratura che è un miracolo se arriva a Pasolini (ammazzato nel ’75)?

Si sta sempre a dire che manca l’educazione civica, che i ragazzi non seguono la politica e non hanno senso civico perché non conoscono la storia. Non sarebbe l’ora di mettere mano ai programmi? Perché non concludere il quinto anno di letteratura con Aldo Nove o Pier Vittorio Tondelli? E a storia arrivare alle Primavere arabe?

Fare questi argomenti o autori nuovi non significa dimenticare i vecchi, tutt’altro. È compito di un buon professore saper spaziare tra Dante e Pennac, tra Pazienza e Tasso. Chiamatemi postmoderno, o come vi pare, ma questa è la cultura del 2014. Una sequenza di Ovosodo di Virzì parla proprio di questo.

Anzi, la butto lì. Perché non abolire la Maturità? Perché non redistribuire alle scuole i soldi spesi per le commissioni e valorizzare davvero il percorso dei cinque anni? Forse pensiamo che i nostri passerotti riescano in un giorno a riassumere un percorso formativo di centinaia di giorni? Una versione fatta bene o male può raccontarci quanto greco o latino conosce una ragazza?

Io penso di no. E in Europa sono abbastanza concordi su questo punto. Ne riparleremo.

 

Alessandro Ferri

Quando non si deprime, dimostra doti da intrattenitore e intellettuale della Magna Grecia. Si consola delle abituali sconfitte ascoltando quintali di musica.

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Alessandro Ferri

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