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Parlo volentieri di quello che ritengo uno straordinario esempio di italianità: Pier Paolo Pasolini. Un grande italiano, perché conosceva gli italiani del passato, del (suo) presente e del futuro. Del passato, per la sua profonda competenza nella cultura classica (numerosi i suoi “flirt” con la classicità: Medea, Edipo Re, Appunti per un’Orestiade africana, le traduzioni di Plauto in romanesco ecc.), le sue ricerche sul cristianesimo (il Vangelo secondo Matteo) e sulla grande tradizione letteraria e artistica del nostro paese (il Decameron).
Del presente, per la sua ossessiva attenzione agli sviluppi socio-economici e politici dell’età del boom (sia per le fasce degradate, come in Ragazzi di vita, sia per la classe dirigente, come in Petrolio, romanzo pubblicato solo dopo la sua tragica e misteriosa morte). Del futuro, perché PPP aveva compreso quale strada avrebbe imboccato la società italiana, ben prima che diventassero famosi personaggi come Gelli, Di Pietro o Berlusconi. Fu lui a parlare per primo di mutazione antropologica causata dal consumismo e dal mezzo televisivo; riconobbe con largo anticipo le metastasi di una prima repubblica in agonia (con accuse circostanziate nei suoi Scritti corsari e negli abbozzi di Petrolio) e preconizzò persino il fallimento delle istanze sessantottine (nella celebre elegia – nel senso del miglior Solone – “Il PCI ai giovani”). Potremmo scrivere volumi sull’attualità di questa figura di “marziano”, convintamente deideologizzato in un’epoca fradicia di ideologia, esplicitamente omosessuale quando era scandaloso dichiararlo, indipendente sempre e comunque, nemico di qualsiasi adesione scontata, neppure quando avrebbe fatto comodo. In una parola, anticonformista, nel senso positivo del termine. In una parola, italiano.
Alessandro Ferri