{rokbox title=| :: |}images/fuochiartificio.jpg{/rokbox}E anche per il 2010, le feste di Camucia e Cesa hanno rappresentato l’apice della gloriosa stagione delle sagre e feste paesane della Valdichiana. I veri intenditori – quelli che tradizionalmente presenziano a tutti questi eventi, magari in compagnia di moglie, dei figli nel passeggino e di una birra media – obietteranno dicendo che ancora sono ai blocchi di partenza Montagnano (Sagra della nana) e Monte San Savino (Sagra della porchetta), ma tant’è. La gara di briscola di Camucia, e il rito dei fuochi di Cesa, storicamente, chiudono l’estate per migliaia di nostri concittadini, soprattutto giovani.
E non è un caso se queste due feste hanno fatto da modello a centinaia di altre manifestazioni della provincia, inaugurando un fenomeno che oggi ha dimensioni ragguardevoli.
Nel 2009 la provincia ha censito 106 sagre paesane nel territorio aretino: il conto però non è completo (dopo una veloce lettura, ho notato per esempio l’assenza della Sagra della nana e della Festa dello sport di Tavarnelle) e soprattutto non tiene in considerazione di quell’ingente numero di eventi culturali, religiosi, sportivi o politici nell’ ambito dei quali vengono forniti servizi di ristorazione, bar, e attività ricreative. In totale, in un anno sono stati 548 i singoli eventi allestiti nella provincia, con la media di quasi 2 eventi al giorno: un dato che diventa importante dal momento in cui le sagre si concentrano nel periodo maggio-settembre.Da qualche anno, come sappiamo, il fenomeno preoccupa e irrita la Confcommercio, la Confesercenti e tutte le associazioni dei ristoratori che giustamente lamentano la sleale concorrenza delle sagre, agevolate a livello fiscale e igienico. Si calcola che nel 2009 i ristoranti di Arezzo, per colpa delle sagre, abbiano subito un danno pari al 30% del fatturato complessivo. Ma nel 2010, la Confesercenti ha lanciato un ulteriore allarme, che va aldilà del mero ragionamento commerciale: quasi tutte le sagre, lungi dall’essere eventi folkloristici legati al territorio, diventano un modo facile e rapido per fare due soldi. E infatti fra quelle 106 sagre di cui prima, la Provincia ne ha dichiarate autentiche solo 55. E’ qui che sta il fulcro del problema: sorvolando sugli effettivi danni alla ristorazione, quale significato hanno queste feste? Detta altrimenti: mangiare sotto a uno stand con piatti di carta, serviti da bambini in pantaloni corti, è un diversivo per stare in compagnia (quasi familiare) e assaporare i piatti tipici della cultura contadina, o è solo un modo per aggirare le norme igieniche della Usl? Secondo la Provincia e secondo me, la risposta giusta più frequente è purtroppo la seconda.
Esistono davvero delle sagre autentiche, e per fortuna sono quelle che riscuotono maggior successo: tanto per citarne alcune, potrei ricordare la Rievocazione storica della battitura del grano di Ruscello, la Sagra della bistecca di Cortona, la Sagra della porchetta di Monte San Savino. Eventi del genere hanno raggiunto un valore socio-culturale così alto che possiamo paragonarli a quelle secolari manifestazioni di origine religiosa che così, senza un motivo plausibile, sono diventate momenti irrinunciabili per migliaia di persone: mi riferisco ai cosiddetti Perdoni, molto in voga in Valdarno, e quindi alla Festa di Santa Lucia di Cesa. In tali occasioni si dispiegano nel modo più accentuato possibile lo spirito e la cultura di quel territorio: puoi vedere i ragazzetti con il colletto della camicia rialzato, le ragazze ingenuamente truccate, i liceali che si raccontano a vicenda le vacanze appena trascorse, i bambini con lo zucchero filato, i nonni che fanno merenda con il panino con la porchetta, e poi ancora passeggini, pop-corn, musica tamarra, gazebo che vendono stufe, vu cumpra.
In altre sagre invece (quelle non autentiche, e secondo me sono molto più di 51), dopo che ti sei mangiato la tua pizza tagliata con il coltello di plastica, o balli il liscio (e anche qui potremmo accennare alle agevolazioni fiscali rispetto alle discoteche…), o te ne torni a casa. A molti clienti e soprattutto ai turisti (che del resto reputano “caratteristici” anche semplicemente i cannicci), risparmiare 5-10 euro sulla cena va più che bene. Ma, in definitiva, quali peculiarità esclusive propongono queste sagre a livello gastronomico-sociale-culturale? Cosa le differenzia da un ristorante? Forse niente.
Questa volta spero quindi che le proteste dei ristoratori vengano ascoltate, anche solo per aprire una riflessione su questa proliferazione selvaggia e caotica di eventi paesani ed evitare che tale fenomeno diventi un boomerang. In futuro infatti, qualche accorto turista straniero, vedendo le locandine colorate e invadenti di tutte queste sagre, potrebbe pensare a uno dei caratteri tipici degli Italiani: fare soldi facili, magari aggirando le leggi
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