{rokbox title=| :: |}images/gattochat.jpg{/rokbox}E menomale! E menomale che ho installato relativamente tardi Messenger Plus (l’applicazione che ti permette di mettere i colori e di inviare le faccine animate), menomale che nei meandri del mio pc sono salvati solo undici mesi di conversazioni. È stato già traumatizzante così, figuriamoci se avessi potuto sbirciare in discorsi risalenti a sei anni fa. Le chat sono la versione letteraria delle fotografie: entrambi hanno il diabolico potere di rendere eterno ciò che dalla natura è stato creato per essere immediato e transitorio.
Verba volant, dicevano i latini; se invece manent creano un fastidioso cortocircuito mentale. Citando gli stessi latini, qualcuno potrebbe però obiettare che qualcosa simile alle chat è sempre esistito, e cioè la lettera, che ai tempi di Cicerone veniva definita colloquium amicorum absentium: il compendio fra l’immediatezza dell’oralità e l’artificiosità della scrittura.
Conservo lettere, e quando mi capita di rileggere, nostalgia o avversione che io provi (a seconda del grado positivo o meno del ricordo che viene suscitato), sono sentimenti che scaturiscono da una sensazione di freddo distacco, di lontananza, come di un qualcosa che appartiene a un’altra vita. Presto spiegato: qualsiasi lettera, anche quelle che noi definiamo “scritte di getto”, subiscono necessariamente una rielaborazione stilistica dei pensieri, che svincola quelle parole dalla realtà. Le conversazioni in chat, no. Le conversazioni in chat destabilizzano per il motivo opposto: l’immediatezza delle parole ti rende partecipe ad esse, l’autenticità dei pensieri (con tutti gli strafalcioni grammaticali tipici del linguaggio parlato) rispecchia te stesso, solo con qualche anno di differenza. Le chat aprono delle finestre luminose nella galleria fumosa dei ricordi.
Rileggendo vecchie conversazioni rivivi scorci quotidiani che erano destinati a cadere nell’oblio: seghe mentali, litigi, cotte (come ti senti ridicolo, con il senno di poi, a leggere quelle subliminali e mai recepite dichiarazioni d’amore!), e poi ancora le sequenze reiterate di A e H inviate solo per dimostrare di essere allegri, o le faccine mandate come surrogato degli stati d’animo. Una (ri)lettura che per me è resa ancor più fastidiosa dal fatto che nel testo mancano tutte le t: per un inspiegabile errore di formattazione, io digitavo T, ma il monitor dava spazio bianco. Finchè, mesi e mesi più tardi, non mi accorsi che, scrivendo su carta, la mia mano faceva enorme fatica a marcare la t, come se invece di rete, fosse stato più comodo scrivere semplicemente re-e: e allora ebbi un sussulto.
E se poi ti fermi ad osservare le date, è la fine. Quel giorno in cui un tuo amico ti dice (scrive) che è morto un vostro caro e tu, pensando fosse uno scherzo, gli rispondi con una nefasta faccina che fa la pernacchia. Quel giorno in cui vieni lasciato, e sbandieri ai quattro venti un insensato desiderio suicida. Quel giorno in cui probabilmente tira vento forte, visto che scrivi “Carla, ci butta giù la casaaaaa!”. Per non parlare dei messaggi personali, che su Facebook hanno tradotto in stati: creati appositamente per funzionare da esca, devono attirare l’attenzione degli amici in linea, sperando che qualcuno ti consideri. I messaggi personali hanno lo stesso valore dei vestiti nella realtà: sono l’interfaccia della nostra essenza. Ma come un maglione fuori moda, i messaggi personali riletti a tre anni di distanza mettono a disagio. Fra i più memorabili: “ATARASSIA, MA TE LEVI DE QUI?” e “Ora provate a tagliare la rotonda della Coppe, se ve riesce” (con riferimento a quella massiccia colata di catrame che il comune effettuò per costringere i veicoli a rispettare il senso circolare della rotatoria).
L’effetto straniante di una spontaneità che non è mai spontanea (a differenza delle conversazioni al bar, in chat prima di inviare poi pensare fino a 3 e nei casi estremi puoi cancellare ciò che hai scritto), e di un’immediatezza che non è mai immediata (manca il contatto fisico fra gli interlocutori) causa malintesi e fraintendimenti, causa profonde implicazioni sui rapporti interpersonali che solo fino a dieci anni fa erano impensabili. Per fortuna, e qui Msn mi viene in appoggio, io mi ero accorto di questo fatto già da un po’ di tempo, tanto che nel gennaio 2009 scrivevo a una mia amica “e cancella i mess ogni an o, fa bene allo spiri o”, e che negli ultimi tre mesi di vita del mio Messenger il messaggio personale avvisava “SOLO COMUNICAZIONI DI SERVIZIO”.
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