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Mozione Civati, cosa ne pensiamo di: indulto e amnistia

Il PD deve difendere la legalità, è vero. Ma ”la civiltà fa parte del concetto di legalità e, anzi, la precede”. Le proposte della mozione Civati su questo tema non vogliono essere né populiste né propagandistiche ma tengono conto prima di tutto delle persone e dei loro diritti, delle cause dei problemi e poi dei numeri conseguenti.

Noi proponiamo:

a) “che i provvedimenti clemenziali (indulto/amnistia) siano adottati a valle di un intervento sistematico che operi sia sui flussi d’ingresso in carcere (riducendoli) sia sulle maglie d’uscita dal circuito penitenziario (allargandole per i detenuti meno pericoli). Bisogna finirla, insomma, di guardare alle misure straordinarie come fossero misure ordinarie: l’indulto e l’amnistia sono misure straordinarie, misure tampone. Non curano la patologia, ma ne alleviano sintomi e manifestazione.

Agire sulla struttura non è utopia. Come ricordato da Napolitano, vi è già un disegno di legge delega approvato dalla Camera e ora in Senato che introduce la possibilità per il giudice di applicare la messa alla prova per reati meno gravi e la detenzione domiciliare come pena principale.

Modifiche piccole, ma importanti. A questo vanno affiancati interventi, anche questi ricordati da Napolitano, sulla custodia cautelare, sul trasferimento dei detenuti stranieri nei loro Paesi d’origine per scontare la pena, oltre ai, troppo spesso solo evocati, interventi di depenalizzazione di reati di minima gravità.

Su questo versante, vi sono, inoltre, due tipi di intervento poco valorizzati ma decisivi per razionalizzare il ricorso alla detenzione carceraria.

Il 40% circa dei detenuti è in attesa di giudizio: è fondamentale agire sulla leva della custodia cautelare elevando la restrizione domiciliare a misura custodiale principale, salvo i casi in cui le esigenze cautelari siano di particolare gravità.

Per selezionare efficacemente la popolazione carceraria bisogna impegnarsi a conoscerla. Il carcere è la casa degli ultimi. Per renderla più vivibile bisogna agire sui reati degli ultimi. Un quarto dei detenuti è in carcere per reati connessi all’utilizzo/spaccio di sostanze stupefacenti. E’ indispensabile superare l’ottuso rigore della legge Fini-Giovanardi e, soprattutto, investire sulle strutture socio-riabilitative come centri dove scontare la maggior parte della pena. I reati in materia di stupefacenti necessitano, in linea di massima, di una risposta in termini di assistenza più che di carcere.”

b) “a valle degli interventi strutturali può essere adottato un provvedimento clemenziale (amnistia/indulto) purché siano attentamente selezionati:

1.     i reati da includervi (solo reati la cui estinzione/condono abbia effetto sul sovraffollamento perché le relative pene sono tendenzialmente eseguite in carcere – per lo più reati contro il patrimonio e stupefacenti – con esclusione di quelli che hanno impatto sulla detenzione limitato nonostante la gravità – reati contro la pubblica amministrazione -)

2.     i soggetti destinatari (con esclusione dei soggetti gravati dalle più gravi forme di recidiva)

3.     la disciplina: non cumulabilità con precedenti provvedimenti di clemenza (un imputato più importante di altri non ne sarà lieto, ma tant’è); reviviscenza della pena indultata in pena da espiare in caso di nuovo reato.

4.     con particolare riferimento all’indulto: il limite di anni di pena condonata, che andrebbe limitata ad un periodo ben più ridotto di quanto suggerito da Napolitano. Un anno di indulto interesserebbe una platea di oltre 10.000 detenuti sufficiente – insieme agli altri prospettati interventi ad avvicinare notevolmente la soglia di capienza regolamentare senza costi reali sulla recidiva stante l’esiguità del residuo pena.”

Per chi volesse approfondire, questo è il link al post di Giuseppe CIvati da cui i punti a e b sono tratti.

Non vi adeguate, non vi uniformate. Le cose cambiano cambiandole.

Ufficio Stampa

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