Con il risultato dei ballottaggi cala il sipario sulla campagna elettorale 2011, le spade sono state riposte nei foderi e le mazze ferrate appese al chiodo per cui si può tentare di ragionare a mente fredda senza timore di essere bastonati dal candidato di turno. 8 comuni andavano al voto, il risultato è di 7 a 1 per il centrsosinistra, facile direbbe qualcuno, da queste parti il centrosinistra ha sempre vinto.
In parte è vero però la situazione era un pochino più complicata rispetto al passato. Le alleanze, tanto per fare un esempio, presentavano una serie di geometrie “variabili”. In due comuni sopra i 15.000 abitanti la sinistra radicale aveva deciso di contrapporsi al candidato ufficiale del centrosinistra, in altri due casi e non erano comuni tanto “piccini” aveva deciso di appoggiare, più o meno velatamente, liste antitetiche a quelle sostenute dal PD, l’unica situazione in cui la coalizione del centrosinistra si presentava in maniera organica era il capoluogo. Da qui si ricava che niente era facile e niente era scontato. Per questo il risultato assume, se si guarda bene, un doppio significato: da una parte una “batosta” storica per il centrodestra e dall’altra un forte ridimensionamento della ambizioni “movimentiste” dei vari sub-comandanti della sinistra radicale.
Il centrodestra è stato un disastro un po’ da tutte le parti, se si eccettua Pratovecchio dove vince più per demeriti altrui che per meriti propri. Probabilmente ha influito un vento nazionale negativo ma forse ha pesato ancor di più l’infausta scelta dei candidati, figure che sono riuscite a scendere, quasi ovunque, sotto il minimo storico. A questo punto un bell’esame di coscienza e un “mea culpa” si renderebbero necessari ma, così ad occhio, non mi pare che sia questa la strada che la dirigenza locale del centrodestra ha intrapreso: le colpe sono sempre di qualcun altro.
Il problema di questo centrodestra è l’incapacità cronica ad uscire da uno stato di minorità per cui l’unico ruolo per cui hanno una particolar vocazione è quello dell’opposizione. Se a questo si aggiunge la frammentazione, che deriva dalla scarsa propensione al gioco di squadra, il risultato non poteva che essere quello raccolto alle ultime elezioni. La gente vuole serietà nei comportamenti, indirizzi chiari di governo, decisioni in grado di far cambiare davvero le cose. Si spiega anche così la “mezza sconfitta” dei radical-movimentisti. Ad Arezzo capoluogo scontano forse la presenza dei grillini ma più in generale pagano un prezzo pesante alla loro inveterata abitudine a sposare, senza riflettere, tutto ciò che si muove sul territorio. Per loro valgono più i no dei si e non si accorgono che cento persone che urlano in una assemblea contano meno, in termini elettorali, delle altre mille che se ne stanno a casa, magari pensando all’incerto futuro dei propri figli o al modo di pagare le rate del mutuo.
Gli elettori sono stati molto chiari: meno chiacchiere e più fatti, non a caso hanno premiato nella stragrande maggioranza dei casi il PD ed i suoi candidati. Un PD che, con tutti i suoi difetti, dimostra di essere una forza tranquilla di cui ci si può fidare. Se si guarda al dato scaturito dalle amministrative si vede come vengano puniti tutti coloro che, a destra e a sinistra, non si pongono il tema del governo, in una situazione così ingarbugliata dal punto di vista economico e sociale le persone cercano certezze. Questo fatto aumenta enormemente il carico di responsabilità del PD perché da un lato dovrà farsi interprete della richiesta di scelte chiare e dall’altro dovrà governare con saggezza i processi di cambiamento ormai irreversibili in questa provincia. Vedremo quel che accadrà, il mandato a governare l’hanno avuto.