{rokbox title=| :: |}images/ciclismo1.jpg{/rokbox}All’inaugurazione del Ciclodromo di Montecchio Vesponi di domenica scorsa il sindaco Paolo Brandi ha dichiarato che l’idea della pista ciclabile nacque otto anni fa, quando il fenomeno “due ruote” a Castiglion Fiorentino stava dilagando sulla scia dei primi successi di Daniele Bennati, al debutto fra i professionisti, e quando il Gs Arezzo Bike era già nato. Ma per comprendere il valore sociale e sportivo di un impianto così io tornerei ancora più indietro.
Tornerei alla metà degli anni ’90, quando Bennati lo si vedeva passare con la sua maglietta bianco-rossa per le strade comunali di Castiglioni; quando i (pochissimi) giovanissimi, bambini con età dai 7 ai 12 anni, erano costretti ad allenarsi nel piazzale dello Zuccherificio, spesso facendo slalom fra i camion; quando gli esordienti ed allievi (che in tutta la Valdichiana si contavano sulle dita di una mano) erano conosciuti da tutti e visti quasi come personaggi leggendari che ogni giorno alla stessa ora transitavano solitari davanti casa tua seguiti spesso da una macchina con le quattro frecce accese e guidata da un genitore. Fare ciclismo all’epoca era come praticare il badminton oggi, con tutto il rispetto per il badminton. Mi piace pensare quindi che, se da oggi i nostri giovani ragazzi possono usufruire di un ciclodromo, il merito vada proprio a Daniele Bennati, ai fratelli Marchesini, che hanno fondato il Gs Arezzo Bike, primo sodalizio giovanile a Castiglion Fiorentino, ad Andrea Rinaldini, che attivò in Valdichiana un vivaio dell’Olimpia Valdarnese – società fra le più titolate a livello nazionale in campo giovanile. Ma, riferendoci al territorio più ampio della Valdichiana, il merito va anche ai fratelli Biagiotti di Camucia, e a tutti quei genitori sopra citati che ogni santo pomeriggio seguivano in auto il proprio figlio che stava faticando. Queste persone, con il loro impegno e la loro passione, hanno costituito un modello per coloro che decisero di praticare questo sport: dalla coppia unica Bennati-Rinaldini si è passati, nel giro di quindici anni, ad avere a Castiglion Fiorentino decine di giovani corridori: solo nel 2010 si sono contati più di 40 tesserati (di cinque diverse società), fra i 7 e 18 anni, che dalla prossima primavera potranno girare su una pista in asfalto di 800 metri, senza essere offesi dagli automobilisti o rischiare la vita.
Dopo la creazione nella Provincia di Arezzo delle piste ciclabili di Cavriglia e Sant’Andrea a Pigli, il ciclodromo di Montecchio è l’ultimo atto, forse il più evidente perché situato vicino alla Strasicura, di una vera rivoluzione culturale che sta cambiando la nostra mentalità e che riesce ogni giorno a meravigliare anche il sottoscritto che a 10 anni si allenava da solo per le stradine di Poggio Ciliegio: oggi sarebbe impensabile permettere a un ragazzino di uscire in bici solo per 20-30 km, ma non perché ero coraggioso io, ma perché il traffico è aumentato, lo stress è aumentato, il rispetto per i ciclisti è diminuito. La terrificante escalation dei ciclisti che sono rimasti vittime della strada non può far pensare solo al destino o alle coincidenze: in Toscana, negli ultimi 13 mesi sono morti quattro giovani corridori, una media troppo alta per esser trascurata. In quest’ottica il ciclodromo di Montecchio non solo manifesta la volontà di far qualcosa contro il problema della sicurezza stradale, ma ha la bellissima funzione di incentivare i ragazzini ad avvicinarsi a questo sport, un merito non trascurabile in tempi come questi: è da qui, da questo ciclismo genuino e spontaneo, che i vertici istituzionali devono ripartire per ricreare quella credibilità che i brutti episodi del ciclismo professionista distruggono quotidianamente