Ad Arezzo nasce un fastfood con prodotti tipici toscani. Una bella idea, una idea che va nella direzione di utilizzare al meglio la qualità aretina, anche nel cibo. Questa notizia fa il paio con l’altra che ci dice che il valore economico della cultura nella nostra realtà è una dei più alti a livello nazionale. Con la cultura dunque ci si può anche mangiare a dispetto di qualche Ministro che afferma il contrario e abbatte la mannaia sul collo di scuole, musei, centri di ricerca, fondi per restauri e teatri.
Per cui suona di buon augurio l’apertura di un locale come quello di Arezzo, non solo perché li si mangia davvero, ma perché rilancia un argomento che ci sta particolarmente a cuore. Quello di trasformare la qualità, ambientale, gastronomica, artistica in economia vera e posti di lavoro ma per far questo non bastano le buone intenzioni. La “cultura” di per se non genera economia, ci sono musei in provincia di Arezzo che conservano reperti di rara bellezza ed importanza ma non li conosce nessuno, hanno flussi di visitatori scarsissimi e non si pagano nemmeno le spese di mantenimento. Ce ne sono altri invece, forse meno importanti, che attirano tanti turisti e creano, direttamente ed indirettamente, reddito. I perché di questa situazione sono tanti ma alcuni sono talmente evidente da essere quasi ovvi. Da una parte c’è tanta passione abbinata ad un lavoro attento di promozione, dall’altra si parte dal principio che meno gente viene e meno si fatica, tanto lo stipendio arriva lo stesso. Chi sa lavorare nel campo della cultura inserisce le reti museali in un contesto più ampio che riguarda la promozione della città, dei luoghi, dell’ambiente, qualche volta si inventa storie e leggende. In altre parole non si vende solo una parte ma l’intero pacchetto. E il pubblico sembra apprezzare, ogni pezzetto è la ruota di un ingranaggio più ampio che gira perché tutti i meccanismi sono ben oliati. Forse è questo che in molti casi ancora manca, la forza del sistema, talvolta sembra di essere dentro ad un sottomarino dove i vari compartimenti sono divisi da porte stagne, troppe occasioni perse perché manca lo spirito di impresa.
Una proposta? Che si trasferisca anche in questo campo una sana logica di mercato a costo di far storcere il naso ai puristi ed alle anime belle. Come? Affidando a imprenditori privati (cooperative, associazioni, società di scopo) la cura, la promozione, la gestione dei nostri musei, dei luoghi di interesse artistico, dei tour più o meno storici. Non si abbia paura delle contaminazioni: in tutti i musei del mondo ci sono ristoranti, bar, negozi, scrolliamo la muffa e diamo una mano ai tanti giovani che hanno voglia di fare. Credo proprio che tutti, proprio tutti sarebbero interessati a promuovere al meglio la propria attività e a farla crescere con indubbi vantaggi per gli “imprenditori della cultura” ma anche con una ricaduta positiva per tutto il sistema.
IL SANSEVERO
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