{rokbox title=| :: |}images/brandi5.jpg{/rokbox} E’ con grande piacere che porto il saluto ed il ringraziamento della Comunità Castiglionese al Presidente della Camera Onorevole Gianfranco Fini per aver voluto onorare con la Sua presenza l’inaugurazione della nuova Sala Consiliare.
Do il benvenuto a tutte le autorità civili, militari e religiose che hanno accolto il nostro invito a partecipare a questa giornata così speciale per il nostro Comune, vorrei inoltre estendere il mio ringraziamento a tutti coloro che, a vario titolo, Fondazione MPS, progettisti, ditte, dipendenti comunali, hanno consentito di realizzare, in tempi brevi e con grande efficienza, questa bella opera che rimarrà nei prossimi anni testimone del loro ingegno e della loro bravura.
Un grande saluto mi sia consentito alle tante Associazioni castiglionesi ed in particolare ai Rioni che già sono in trepida attesa della terza domenica di giugno quando si correrà il Palio.
Colgo questa occasione per invitare ufficialmente il Presidente della Camera a questa manifestazione, ormai entrata nel novero dei più importanti eventi della Provincia di Arezzo.
Mi riempie di enorme soddisfazione il fatto che i rappresentati della nostra Comunità siano oggi tutti, nessuno escluso, presenti.
Quello che stiamo vivendo è infatti per certi aspetti un momento straordinario della vita comunale perché, come ho già avuto modo di dire, l’inaugurazione di un luogo, destinato ad ospitare l’assemblea elettiva del popolo castiglionese, non è una cosa che capita tutti gli anni. Forse, esagerando, ho detto che eventi, come quello che celebriamo quest’oggi, accadono una volta ogni secolo nella storia di una città.
Questo giorno assume davvero un tono ed un sapore particolari, quasi di riscoperta delle nostre radici perché, dopo tantissimo tempo, restituiamo al suo antico uso e splendore questa sala. La prima datazione certa di un uso pubblico risale infatti al 1347.
Essa era conosciuta come “Sala Grande” e nei secoli passati ospitava il governo e le adunanze cittadine, era il luogo dove si esercitava il comando e la giustizia e si prendevano le decisioni più importanti per la vita del Comune.
Decisioni di cui erano protagonisti sessanta cittadini, detti “boni homines”, venti per ciascuno dei terzieri nei quali era suddiviso Castiglioni: Retina, Sus Castiglione e Mercato, che corrispondono oggi ai tre Rioni, Cassero, Porta Romana e Porta Fiorentina, i cui vessilli in questi giorni fanno bella mostra di sé nelle strade e nelle piazze della città.
Un luogo, dunque, carico di storia e di memorie, queste mura ci rimandano l’eco di momenti esaltanti e di situazioni drammatiche, vicende che hanno segnato nel bene o nel male la storia di Castiglion Fiorentino.
Oggi tocca a noi come Amministratori e rappresentati eletti dal popolo continuare questa lunga storia di democrazia e partecipazione. Una storia che ha distinto in positivo la nostra terra, una terra accogliente, tollerante ed evoluta. Vorrei ricordare come la nostra Regione, allora Granducato, fu la prima ad abolire nel 1786 la pena di morte, evento oggi ricordato ogni 30 di novembre con la Festa della Toscana.
E’ nostro dovere essere fedeli interpreti di questa tradizione, anche per questo oggi, che si avvicina la fine del secondo mandato, esprimo la mia gratitudine a tutti i Consiglieri Comunali i quali, al di là delle posizioni politiche ed ideali, hanno saputo dimostrare, nell’assemblea consiliare, una grande capacità di governo che ci ha permesso di raggiungere importanti obiettivi e significativi risultati.
Risultati che richiamano quanto è scolpito negli architravi delle porte di accesso a questa bella sala: frasi che suonano al tempo stesso da ammonimento e consiglio per chi è chiamato a governare.
La prima dice: STATE IN GUARDIA CONSOLI AFFINCHE’ LA COSA PUBBLICA NON VADA IN ROVINA, la seconda recita: CONTANO ASSAI PIU’ I FATTI DELLE PAROLE, la terza ci ricorda che LE VIRTU’ DEI CITTADINI RENDONO PROSPERA LA CITTA’.
Tutti e tre questi moniti mantengono, dopo tanto tempo, inalterata la loro validità.
Esse confermano l’imperativo categorico del dovere e della moralità per chi è chiamato a guidare la Comunità, esse pronunciano una critica severa verso coloro che si nutrono di parole ma poi perdono di vista le cose necessarie al buon governo, esse esaltano i valori civici come fondamento della prosperità collettiva in contrapposizione ad ogni egoismo e faziosità.
Queste categorie fanno parte di quel grande patrimonio, di quella grande storia di cui è ricca la nostra terra e che ha trovato nelle Istituzioni, in particolare in quelle Comunali, il terreno migliore entro cui svilupparsi.
Per tale motivo questa inaugurazione ha per noi, oltre che un rilievo storico, un elevato significato simbolico.
Oggi, ed il Presidente Fini in questo senso se ne è fatto più volte interprete, occorre riportare nelle Istituzioni e nelle assemblee elettive quello spirito di servizio che ha reso forte la nostra Repubblica e di cui non mancano luminosi esempi nel passato di questo territorio e di questa provincia.
Spirito di servizio vuol dire capacità di ascoltare, capacità di accogliere come propri i problemi ed i dubbi della nostra gente per poi tradurli, una volta liberati dalle pastoie degli interessi particolari, in una efficace azione di governo.
Ascoltare vuol dire anche prestare attenzione ai giudizi, compresi quelli negativi, e correggere, laddove è necessario, il nostro agire di amministratori pubblici, consapevoli che il mandato che ci è stato affidato dagli elettori non è una patente di infallibilità.
Però al tempo stesso dobbiamo essere fermi nel difendere il ruolo delle Istituzioni, la giusta critica non può infatti mai diventare delegittimazione, contrapposizione tra un presunto sentimento popolare ed i poteri dello Stato.
Se si seguisse questa via, vi sarebbe davvero un pericolo concreto di disgregazione e di frantumazione della società. Per questo rimane per noi forte il richiamo all’Unità nazionale di cui celebriamo i 150 anni e l’adesione ai principi fondanti della Repubblica incarnati nella Costituzione.
La carta costituzionale, vorrei ricordarlo, nacque in un momento storico del tutto particolare, dove forti erano le passioni ideologiche, nette le divisioni di campo, dure le contrapposizioni politiche. Eppure nonostante questo fu ricercata una sintesi alta delle idee e dei principi che allora ispiravano i Padri Costituenti.
Una sintesi che non era frutto di mediazioni dettate dalla contingenza del momento, ma dalla consapevolezza che si stava costruendo, dopo i disastri della guerra, la casa di tutti gli italiani.
Oggi quello spirito sembra essersi affievolito, come diceva un grande toscano ci si dimentica che la “politica non si improvvisa, essa non si accontenta di qualunquistiche e superficiali approssimazioni, anzi richiede un duro e sistematico lavoro”.
Accolgo in questo senso con grande favore l’impegno di chi, come il Presidente Fini, tenta di riportare, dall’alto della sua carica e del suo prestigio, maggior rigore nel dibattito pubblico cercando – con grande fatica – di ricondurre la competizione politica ad un livello più nobile.
Credo che questa cosa faccia bene a tutti, pur nella diversità delle idee e delle visioni che ognuno di noi può avere della società e del suo sviluppo. Non si comprende perché in questo nostro paese il dibattito pubblico si traduca sempre di più in pettegolezzo, non si capisce perché ci si attardi a discutere di tutto meno che dei problemi che pesano sulla vita delle persone. Non si comprende perché ogni elezione, fin nel più piccolo Comune, debba essere vissuta come una sorta di “giudizio di Dio”, come la battaglia finale tra il bene ed il male.
Provo in questo senso una certa invidia per quei paesi europei dove l’alternanza dei governi e delle maggioranze non è sentita come un dramma collettivo ma come una naturale fisiologia della politica. E ritrovare un terreno comune di discussione è tanto più necessario in una fase complicata e difficile qual è quella che stiamo attraversando anche in questa provincia.
Ci sono questioni aperte che riguardano in particolare la nostra economia, penso a coloro, e sono tanti, che si ritrovano in cassa integrazione, penso ai nostri giovani disoccupati, penso alle nostre piccole e medie imprese che si ritrovano strette alla gola da un mercato del credito sempre più esigente, penso all’allargarsi del divario tra chi ha troppo e chi rischia di perdere tutto. Penso inoltre ai difficili temi dell’immigrazione e dell’accoglienza su cui il Presidente Fini ha speso più di una volta la sua autorevole parola ed infine penso ad un Welfare che, al di là di tutti i nostri sforzi, non riesce più a dare risposta alle difficoltà di tante famiglie.
Sono questi i temi che come Sindaco e credo in questo senso di interpretare il pensiero dei miei colleghi ci troviamo quotidianamente davanti e sui quali facciamo sempre più fatica a individuare delle soluzioni. Anche perché la finanza locale appare ormai stretta in una morsa.
In questo senso credo che più che dibattere di “chimeriche riforme” occorra ripartire dai bisogni veri della gente, ricostruendo per quanto è possibile un’idea forte di Stato in cui ognuno, secondo il dettato costituzionale, sia chiamato a dare il proprio contributo al progresso della nazione.
Mi piace qui ricordare l’art. 53. della nostra Costituzione laddove si dice che “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.
Ho voluto citare questo passaggio perché gli ultimi dati sull’evasione fiscale, in specie in un momento come quello che stiamo attraversando, gridano vendetta.
Come EE.LL. stiamo dispiegando tutte le energie possibili per superare questo difficile momento. Il rischio che intravediamo è infatti quello che ai problemi economici si accompagni una profonda crisi sociale, crisi in cui rischiano di prevalere gli egoismi e le rendite di posizione. Di questa situazione dobbiamo essere ben consapevoli perché dalle difficoltà o se ne esce tutti assieme oppure si rischia davvero una frattura insanabile. Già oggi si avvertono segnali preoccupanti di una crescente intolleranza, di una caduta dello spirito civico, di una diffusa insofferenza verso chi per cultura, religione, storia o collocazione geografica appare diverso.
Alle incertezze economiche, al mancato governo del territorio, all’insicurezza crescente non si può però rispondere alimentando la paura, quello che si rende necessario è un diverso stile ed un diverso modello di vita basato su un concetto che può apparire desueto ma che mantiene a mio avviso una grande modernità, l’idea della solidarietà.
Mi pare appropriato citare, come abbiamo già fatto nella relazione al bilancio 2010, le parole del Cardinale Dionigi Tettamanzi su questo argomento: “la solidarietà non risponde solo a bisogni puntuali, bensì costruisce una società più giusta e più equa. E’ via irrinunciabile per poter sperare ancora nel futuro, per uscire dalle pesanti difficoltà presenti. A condizione che la solidarietà non sia il gesto episodico di alcuni, ma una ‘sinfonia’ condivisa”.
Ho voluto ricordare queste parole perché esse suonano da esortazione per chi governa la cosa pubblica.
Esse ci costringono ad una scelta, ci indicano una strada.
Una politica che fa perno sulla solidarietà è difficile perché si scontra con interessi consolidati, ci obbliga talvolta a scelte che nell’immediato possono apparire impopolari. E quando parliamo di solidarietà il nostro concetto vuol essere più ampio di quello che normalmente riserviamo ai rapporti tra le persone.
Uno stile solidale è un modello che impone un ripensamento delle abitudini, del rapporto con l’economia, l’ambiente ed il territorio, dei principi che devono animare il legame cittadini e istituzioni.
In questo senso vorrei che davvero la politica tornasse a guardare al futuro, consapevoli che senza un progetto, senza idee e senza ideali ogni nostra opera, per quanto affascinante, si riduce al fatto di un momento.
Grazie ancora Presidente Fini per la Sua presenza e per la capacità e l’imparzialità con cui svolge il Suo alto incarico nell’interesse supremo del Paese