” seduto con le mani in mano sopra una panchina fredda del metrò “… e voi adesso penserete che sia diventato anche critico musicale…e qui vi sbagliate, cari i miei lettori, perché è vero che ero seduto su una panchina, ma non era nè fredda, nè del metrò, bensì era una comoda panchina sita in Camucìa, fra il Bar Cristallo e il bar Menchetti… e voi vi domanderete che ci stavo a fare, forse. Beh, la domenica di Pasqua me ne sono stato in compagnia di un grandissimo atleta del nostro territorio, che mi ha concesso un’intervista in uno dei suoi rari momenti liberi.
_Michele Santucci, mettiamo il caso di non essere a Cortona, ma a Rio de Janeiro, dove non tutti ti conoscono. Parlaci di te.
Persona tranquilla, riservata, che il fine settimana preferisce tornare a casa, agli affetti familiari, molto attaccata al suo territorio, molto alla mano, caratteristica questa che è un pregio, ma che può essere anche un difetto, visto che molti se ne possono approfittare. Qualche volta pure io ho le mie lune storte, ma poi passa tutto. Rosolino dice questo: ” Vincere non ti rende speciale ma uguale agli altri” , e io mi sento così, come uno che è riuscito in quello in cui credeva.
_Quando hai iniziato ad avere la passione per il nuoto e quando hai iniziato a pensare che saresti diventato Michele Santucci?
La passione è nata grazie a mia mamma che, come tutte le mamme, mi ha incentivato a fare sport, anche andando alla nostra casa al mare a Grosseto; e da qui è nato questo amore verso l’acqua. All’inizio non mi rendevo conto di dove potessi arrivare, però ho iniziato a capire che potevo avere qualche dote particolare quando ho iniziato ad allenarmi più seriamente, ma non ho mai avuto la certezza di arrivare. Sono partito con la speranza di arrivare, per la realizzazione di un sogno. Mi paragono a un blocco di marmo: negli anni su questo blocco di marmo ho cercato di lavorarci sopra, di perfezionarlo per dare forma al mio sogno. Dopo 26 anni, questa forma ha preso vita.
_Quali sono le gare che ti sono rimaste più impresse nella mente?
L’esperienza più bella è stata a Pechino 2008, venivo da un anno difficile in cui volevo smettere, invece in quell’anno sono riuscito a qualificarmi come quarto staffettista in mezzo ai grandi, il Dream Team, con Rosolino, Magnini, Brembilla al loro massimo splendore. Trovarmi con loro, allenarmi, ridere, scherzare con quei mostri sacri è stata un’esperienza indimenticabile, l’esperienza più grande che potessi fare. Avrei potuto anche smettere, mi sentivo davvero realizzato.
_Invece, qual è la gara che ti ha lasciato più rammarico?
Non c’è stata una gara in particolare, perché credo che ogni gara che vada male sia comunque un risultato. Il successo parte, inevitabilmente, dai fallimenti. Mi è stato insegnato a vedere la sconfitta, in ogni caso, sempre come un raggiungimento di qualcosa. A mente fredda, sono riuscito sempre a vedere il lato positivo.
_C’è mai stato un momento in cui hai pensato di smettere?
L’anno prima di Pechino mi ero fatto male, era un anno difficile, mi ero fatto male alla spalla. Non ero riuscito a qualificarmi, è stata dura. Diciamo che attraverso la Fede sono riuscito a ritrovare la forza giusta per ripartire. Sono convinto che non ci si trovi dove siamo per caso, c’è sempre l’intervento di “ Qualcuno “. La mia vita non è stata tutte rose e fiori e, se posso essere utile per dare qualche consiglio ai ragazzi, io ci sono e mi voglio mettere al servizio degli altri.
_Sei del 1989 e vanti già un notevole palmarès, con 20 podi fra individuali e staffetta. Quale di questi ti ha dato la maggior soddisfazione?
La medaglia di bronzo ai Mondiali di Kazan dell’anno passato nella staffetta è quella che ricordo con più piacere. Ci era sfuggita a Shangai per 2 decimi, questa l’abbiamo rincorsa dal 2011; è stata un’emozione grandissima, perché è arrivata dopo un mio infortunio, l’ennesimo, alla caviglia, dopo che non mi ero qualificato l’anno prima agli Europei di Berlino. E’ stata la ciliegina sulla torta, vivevamo per quella. Quando deve accadere una cosa, lo senti subito. Appena arrivati a Kazan, avevamo capito che poteva essere il nostro momento. Ci siamo detti che potevamo arrivare a qualcosa di bello, che potevamo vincere se le condizioni erano estreme. Faceva freddo, pioveva, la piscina era un po’ all’aperto; abbiamo costruito il nostro successo su queste cose, anche sulle sfortune altrui. Noi eravamo, come nazione, la più debole, con soli 4/5 staffettisti a disposizione, quindi con meno cambi. Gli altri dovevano sapere che noi saremmo stati pronti sfruttare i loro errori e così è stato.
_Aprile 2008, Mondiali in vasca corta di Manchester: maggiore la soddisfazione per il record italiano o più delusione per il mancato podio per un solo centesimo?
Come detto prima, ogni fallimento è il risultato del prossimo successo, anche se sul momento la delusione non è stata poca; ma mi è servito come spunto per capire dove potevo ancora migliorare. Possiamo definirli fallimento o delusione, ma da un punto di vista umano, come crescita dell’atleta sono state molto utili, visto che poi mi hanno portato a un risultato più grande.
_Quando hai tempo libero, come lo passi? Torni a casa, agli affetti familiari?
Cerco di passare più tempo possibile con la mia famiglia, con la mia ragazza che è di Roma. Quando torno, sono sempre impegnato a destra e sinistra e cerco di fare quello che non posso fare durante gli allenamenti nei 2/3 giorni che sono a casa. Non mi piace dire di no, non voglio passare per quello che ha vinto e se ne frega degli altri. Tante persone ci sono state anche quando non ho vinto, sono la stessa persona che aveva iniziato al Centro Nuoto Cortona. Vorrei che le persone capissero che sono rimasto lo stesso ragazzo di sempre. Mi piace mettere la mia esperienza al servizio degli altri.
_Chi ti senti di ringraziare per questa tua splendida carriera?
Sicuramente la mia famiglia che mi ha sempre sostenuto anche nelle decisioni più difficili, anche quando in pochi credevano che ce l’avrei potuta fare. Gli amici, anche se in maniera differente, sono delle grosse valvole di sfogo alle quali magari racconti cose diverse rispetto ai genitori. Mi ritengo fortunato perché Qualcuno mi ha messo accanto delle persone belle. Umberto Gazzini: non posso fare altro che dirgli grazie, ho avuto una bellissima esperienza che ci ha fatto crescere. Grandissimi sacrifici per arrivare alla prima Olimpiade. Mi ricordo quando ci trovavamo alle 6 della mattina, prima di andare a scuola, alla piscina di Camucia. Poi, purtroppo, dovendo fare altre esperienze, mi sono dovuto trasferire prima a Milano, poi a Roma, ma quello che ho fatto con Umberto nessuno ce lo potrà togliere; infatti, quando torno, ricordiamo sempre i bellissimi momenti passati, i vecchi tempi.
_Se qualcuno ti chiedesse perché fare nuoto, cosa gli diresti?
E’ uno sport che ti insegna tante cose: la disciplina, il rispetto, la fatica attraverso la quale si raggiungono sempre risultati. Dal niente non viene niente, soprattutto in uno sport singolo come il nuoto. Il nuoto mi ha cambiato la vita, mi ha insegnato tanto. Non è solo silenzio e una riga in mezzo alla piscina. Stando dentro l’acqua, un elemento che non possiamo controllare, col silenzio hai modo di pensare a tante cose, al rapporto con te stesso. Ascoltare sé stessi fa sempre bene.
Stefano Steve Bertini ps Michele Santucci: grande persona, grande atleta, grande uomo che ringrazio, in uno dei suoi rari momenti liberi, per avermi concesso 40 minuti del suo tempo.
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Ringrazio il giornalista per la splendida intervista Biagi Maria grazie mille
Grazie a Lei per le belle parole, sig.ra Maria. E grazie a Michele per la sua disponibilità e cortesia, qualità molto difficili da trovare al giorno d'oggi.