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Londra 2012, flop nuoto. La mamma di Santucci: ”Colpe da suddividere ma questa Federazione non merita i nostri atleti”

Nei giorni scorsi Maria Biagi, la madre di Michele Santucci, il nostro nuotatore che ha partecipato alla staffetta 4×100 stile libero alle Olimpiadi di Londra, ci ha contattato chiedendo di essere intervistata per dire la propria opinione, basata anche sull’esperienza personale a Londra, sulla polemica che impazza in questi giorni riguardo ai non eccelsi risultati dei nostri atleti. L’intervista è stata realizzata da Monia Bracciali. Ovviamente ogni volontà di replica sarà ben accetta e pubblicata. Buona lettura.

Nuoto italiano nell’occhio del ciclone. Come sta Michele e come ha vissuto queste Olimpiadi delle polemiche?

“Michele sta bene è un ragazzo molto equilibrato che avendo vissuto fin dall’età di 18 anni da solo presso la DDS di Milano ha imparato a gestire situazioni difficili. Dopo le Olimpiadi del 2008 ha vissuto due anni veramente difficili in cui ha anche sfiorato l’idea di lasciare il nuoto. Ha trovato la forza di cambiare tutto e trasferirsi a Roma, ha sempre gestito la sua situazione di atleta da solo, certamente con il nostro consiglio e sostegno ma pur sempre prendendo le decisioni in piena libertà. Ha imparato a controllare le sue emozioni ed è abituato ad analizzare le situazioni a mente fredda, a parlare direttamente con le persone in modo schietto e sincero. Cosa che ha fatto anche a queste Olimpiadi parlando con serenità con il proprio tecnico, Rossetto, e con i compagni con i quali ha rapporti di vera amicizia e di sana competizione. Michele ci dice di non credere a quello che si legge nella carta stampata, che il clima è molto più disteso di quello che si dice, ma che certamente tutte queste polemiche non fanno bene agli atleti e al nuoto italiano. Michele è un grande ragazzo prima che un grande atleta e sa con certezza che questo gruppo darà grandi soddisfazioni all’Italia”.

Stampa, tv, appassionati di sport hanno fatto ricadere le colpe dei risultati non soddisfacenti sui nostri atleti. Quanto è d’accordo e quanto un’analisi del genere si discosta dalla realtà?

“La colpa, se cosi la si vuole definire, è sempre da dividere tra i vari soggetti quando qualcosa non va. Non ci dimentichiamo che gli atleti sono ragazzi di 22-23 anni che vivono una vita di sacrifici e che possono delle volte non seguire o non fare le cose come devono, ma a questo devono sopperire i tecnici che conoscono bene i propri atleti e devono intervenire prontamente. Se vuole un mio parere, conoscendo bene i sacrifici che un atleta fa, posso affermare che la Federazione e tanti appassionati di sport che non conoscono la vita di questi ragazzi non si meritano i nostri atleti. Michele ci aveva detto alcune cose riguardo a quanto accaduto a Pechino, e la nostra esperienza a Londra ha confermato i dubbi”.

In che senso?

“Dettagli organizzativi che però, per la serenità di un atleta, sono importanti. Due ore di fila a Pechino con bagagli alla mano per ritirare i pass olimpici quando la squadra americana è scesa direttamente dall’aereo con il pass al collo. Oppure doversi cercare da soli un medico in piena notte per un compagno febbricitante… A Londra, poi, è stato messo a disposizione dei familiari degli atleti un solo biglietto per ogni gara eppure io e la mamma di Luca Dotto non siamo riuscite ad assistere alla finale, nemmeno dopo una lunga fila sotto la pioggia. Ciò ovviamente ha distolto la concentrazione agli atleti stessi, che ci tenevano alla presenza dei genitori sugli spalti. E poi ancora: le camere prive di aria condizionata, i massaggiatori e fisioterapisti che hanno dovuto portarsi i lettini da lavoro personali… poi tutta la vicenda delle cuffie che mio figlio e altri ritenevano inadeguate perchè non della misura adatta, e solo alla fine sono riusciti a evitare di mettere… Le sembra una cosa normale che degli atleti che devono fare una finale olimpica debbano avere questi problemi?”.

Rossi su Repubblica ha pubblicato un’analisi interessante. A suo parere, nel flop del nuoto, c’è molta responsabilità della Federazione: dalla scelta di impegni troppo ravvicinati a qualche errore di preparazione, fino alla composizione dello staff tecnico. Lei è d’accordo?

“Michele è molto soddisfatto del lavoro che ha fatto e sta facendo con il suo tecnico, verso cui ha piena fiducia e rispetto. Certo la gestione di un gruppo cosi vasto e diverso ha creato dei problemi che forse sono stati un po’ sottovalutati, secondo me, da tutti, anche dagli atleti stessi. Iil gruppo dei velocisti è un ottimo gruppo, affiatato, che condivide per gran parte dell’anno non solo momenti di lavoro, ma anche di svago e vita sociale. Gli impegni sono stati ravvicinati, ma gli atleti seguiti da Rossetto non hanno scaricato molto sia per gli Europei che per il Sette Colli. A mio parere, semmai, non è opportuno aspettare fino all’ultimo momento per definire la squadra degli atleti convocati e bisognerebbe anticipare le gare in cui ottenere la qualificazione olimpica . Sono pienamente d’accordo con Rossi sulla necessità del cambiamento ai vertici e sulla necessità di una gestione più professionale a tutti i livelli perché gli atleti devono fare gli atleti, ma la Federazione deve mettere gli atleti e tecnici nella condizione di poter lavorare serenamente. Inoltre ritengo che occorrerebbe mettersi al passo con i metodi di allenamento degli altri paesi, molto meno massacranti, attraverso confronti e aggiornamenti continui. Riguardo agli errori di preparazione io so da mio figlio che gli atleti stessi sono pienamente in grado di valutare la validità o meno della preparazione in base alle sensazioni che sentono in acqua dove passano dalle quattro alle cinque ore al giorno e che lo scambio con i tecnici è continuo. Le sensazioni prima delle gare non erano ottimali, come per i recenti mondiali, ma non erano preoccupati. Certamente la testa è l’elemento fondamentale in tutti gli sport soprattutto a questi livelli quindi occorre occuparsi anche e soprattutto di questo aspetto”.

Che significa essere genitore di un atleta olimpico? Quale il sostegno da dare ad un figlio che compete ad alti livelli? E delle critiche di chi non sa niente della vita di un atleta come un nuotatore, quelle fatte a Pellegrini e Magnini, ad esempio, cosa ne pensa?

“Essere un genitore di un atleta olimpico non è cosa da poco pensi che lo si è da quando hanno 7 anni. Il nuoto inoltre è uno sport prevalentemente individuale, massacrante a livello mentale e psicologico: non si “arriva” mai. Significa portare tutti i giorni il figlio in piscina e guardarlo macinare vasche, significa avere una particolare attenzione per l’alimentazione, significa pagare tutte le gite scolastiche e non sapere se tuo figlio ci sarà quel giorno o sarà convocato per qualche gara, significa lavorare per pagare i costumi, significa pagare le quote alla piscina fino a 18 anni ed anche oltre, significa aspettare ore per vedere una gara di pochi secondi, macinare chilometri per essere presenti alla gara, combattere con una Scuola Italiana che li massacra perché impegnati nello sport che non li mette in condizioni di poter portare avanti ambedue le cose, stargli lontano anche per mesi ed aspettare la telefonata la sera, aspettare la fine della gara e sperare di vedere non tanto il “tempo”, ma quel sorriso raggiante spuntare sulla loro faccia per la soddisfazione, stare ore al telefono analizzando il perché di un tempo alto, consolarlo per una convocazione non arrivata, vedere i propri figli stanchi e pezzi per il lavoro fatto e non poter fare nulla, sostenerli quando le cose non vanno e i risultati non arrivano, aspettare sempre con loro la fine di un qualcosa che non arriva mai, provare quella sensazione di impotenza quando non riesci a sostenerlo in una finale olimpica… potrei continuare all’infinito, ma per capire cosa significa occorre vivere le situazioni da vicino giorno per giorno. Ai lettori occorrerebbe spiegare che quello che vedono è il risultato finale di un duro lavoro e che non è giusto pretendere sempre di più da questi ragazzi che vi assicuro sono i critici più spietati di sé stessi e sono i primi a pretendere il massimo da sé stessi. Vi assicuro che questi ragazzi che io ho ospitato e conosciuto personalmente sono dei ragazzi normalissimi e hanno un voglia matta di vivere la loro vita e di fare bene il loro lavoro di atleti. Sono dannatamente patriottici… ricordo la telefonata la prima volta che Michele ha indossato la divisa della Nazionali Italiana e la sua commozione sui podio ascoltando l’inno… non facciamoli vergognare di essere Italiani, sosteniamoli come fanno in tutti gli altri paesi del mondo e non aspettiamo sempre che facciano un errore per attaccarli cancellando quanto di buono fatto prima. Talenti, competenze, professionalità è quello che serve. Grazie per avermi dato la possibilità di esprimere il mio parere”.

Monia Bracciali

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Monia Bracciali

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