Trentuno luglio 2010. Barcellona, Europei di atletica. Il francese Yohann Diniz va in fuga nella 50 km di marcia, diventandone campione europeo. Dietro, Alex Schwazer, è colto dai crampi allo stomaco e si ritira, senza nemmeno tentare l’inseguimento, semplicemente perchè non voleva farlo. Eppure l’oro pareva essere alla sua portata dopo l’argento conquistato nella 20 km ma l’altoatesino in una maschera di sofferenza e disgusto dirà di aver avuto la nausea su quel podio.
“Avrei preferito essere a letto. Non me ne fregava niente”. Parole come coltellate che si aggiungono ad altre dichiarazioni a fendente: “Sono sazio, moscio. Mi fa male vedermi così e non voglio più fare certe figure”. Non lo dirà mai in modo diretto, ma si tratta di una resa, di un messaggio preciso: lascio, mi ritiro. Pensare che durante la primavera di due anni fa, Schwazer si era già ritirato e si allenava da solo, non voleva nemmeno i consigli di una pietra miliare della nostra marcia come Sandro Damilano. I colleghi già lo guardavano di traverso da mesi, perchè il carabiniere originario di Vipiteno non legava e non faceva gruppo da un po’ di tempo e senza motivo. “Non sono pentito di aver tentato due gare – disse sempre a proposito dell’Europeo spagnolo – era l’unico modo per trovare una motivazione, ma se esserci non basta più significa che il problema è serio”. Esserci prima con la testa e poi con i muscoli. A Schwazer non funzionavano più gli stimoli che per osmosi dalla mente arrivano a scorrere nelle vene. Schwazer non c’era più, non era più nemmeno nell’asfalto o nelle strade bianche delle Dolomiti. Marciare per ore e ore cercando di non consumarsi, alzare la polvere che ti annebbia gli occhi e ti fa perdere l’amore per una disciplina della quale Schwazer non poteva essere saturo. Aveva vinto un oro superlativo a Pechino e nello sport del 2000 le Olimpiadi non sono mai un punto di arrivo, semmai quello di una crescita di pretesa feroce, del tricolore italiano sulle spalle, che pesa sulle scapole all’inizio come una stoffa sintetica e leggera, poi diventa di gesso e infine di granito. Schwazer, invece, era un atleta sgretolato. Più dal male di vivere e dall’apatia che da un effettivo logoramento fisico. Ad un certo punto non era più nemmeno Alex Schwazer ma solo il fidanzato di Karolina Kostner.
La ripresa per il marciatore è stata lenta e molto graduale, ma a marzo scorso, Schwazer c’era. In Slovacchia chiude la 50 km con tempi molto al di sotto di quelli fissati dalla Fidal. Schwazer c’è. Schwazer a Londra non c’è, non ci sarà, non ci andrà mai. Il Coni lo ha escluso per doping dalla squadra olimpica perchè risultato positivo ad un controllo in Germania, avvenuto poco più di una settimana fa. “Ho sbagliato” è riuscito a dire, un remake del declino di quei grandi atleti che negli anni ’90 chiudevano la carriera dopo le iniezioni di eritropoietina. Un addio alle scene che oltre ad essere vintage assume contorni patetici, perchè Schwazer non era solo il fidanzato della pattinatrice eterna seconda, ma l’atleta favorito per l’oro londinese.
Non vedremo più marciare il ragazzo dai 28 battiti cardiaci al minuto, con la faccia pulita, gli occhi azzurro limpido, i capelli chiarissimi e il sangue sporco. “Se esserci non basta più significa che il problema è serio” aveva detto. Bastava chiudere due anni fa, col male di vivere addosso, la testa che non trovava più motivazioni, satura solo della polvere che si alzava sulle strade bianche delle Dolomiti, là dove gli Schützen, i vecchi rappresentanti del corpo para-militare tirolese, lo criticarono per essersi messo sulle spalle, a Pechino, la bandiera italiana, lui nato nel Sud Tirol, traditore delle sue vere origini, ora che ha tradito se stesso. “Volevo essere più forte” ha rilasciato detto infine all’Ansa, senza capire se si riferisse agli avversari oppure alla sua depressione.