La ricorrenza fu istituita con legge n. 92 del 2004, in memoria delle vittime delle foibe e dell’esodo giuliano dalmata, con l’intento (delle forze proponenti di centrodestra, primi firmatari Ignazio La Russa e Roberto Menia, poi sostenute dall’intero parlamento cn l’eccezione della sinistra “estrema”-PdCI e Rifondazione) di ritagliare dalle vicende dei territori alto adriatici tra il 1943 e il 1945 un proprio ambito memoriale, distinto e contrapposto a quello resistenziale ed al 25 Aprile.
Tuttavia l’istituzione del Giorno del ricordo ha stimolato nuove ricerche tese a focalizzare le cause remote e quelle più immediate degli eccidi riconducibili alle vicende delle “foibe” istriane e giuliane, ricollocandoli nel contesto dell’intreccio di tensioni e di contraddizioni maturate nel corso di decenni e portate alle estreme conseguenze durante il secondo conflitto mondiale.
L’esatto opposto dell’intento originario, di isolare gli eventi del 1943-45 in una narrazione circoscritta al conflitto ideologico e nazionale tra comunisti jugoslavi e “italiani” senza ulteriori distinzioni, nonostante le reiterate accuse di negazionismo per gli storici che confutano l’opinione che le foibe abbiano costituito una scelta di pulizia etnica antitaliana. E questo nonostante la legge medesima impegni a conoscere meglio la “complessa vicenda del confine orientale” (art. 1), dove,è vero, in quegli anni (1943-45) ci furono tragedie in cui le vittime furono scelte in quanto “italiani”, nel rispetto dei fatti e delle fonti.
Perchè le politiche di ”italianizzazione” delle popolazioni slave nei territori divenuti parte dell’Italia iniziarono subito dopo la fine della I guerra mondiale, con iniziative tese a ostacolare la permanenza di coloro che non erano italiani, il ritorno degli sfollati di nazionalità slovena, croata o tedesca, il divieto di usare le lingue “slave”, l’italianizzazione della toponomastica, l’obbligo dell’uso della lingua italiana in tutti i luoghi pubblici, la chiusura delle scuole con lingua non italiana, le violenze verso i civili croati e sloveni.
L’occupazione fascista (seguita all’aggressione del regno di Jugoslavia da parte delle truppe italiane, tedesche, bulgare e ungheresi, 6 aprile 1941) significò per migliaia di cittadini sloveni croati montenegrini e bosniaci fucilazione di ostaggi, distruzione di villaggi, deportazioni e l’ istituzione di tantissimi campi di concentramento gestiti dagli italiani, tra i quali Gonars in provincia di Udine e Arbe (o Rab) nella Dalmazia settentrionale, il più grande campo di concentramento italiano per le popolazioni slave, creato dal comando della Seconda Armata Italiana nel luglio del 1942, dove risultano detenute 9.537 persone di cui 1.236 donne e 1.039 bambini, oltre 2.027 ebrei, in condizioni inumane, con un tasso di mortalità per fame e malattie che emulava i campi di concentramento e sterminio dell’alleato tedesco.
Nella notte tra il 22 ed il 23 febbraio 1942, Lubiana fu circondata con filo spinato e divenne un unico campo di concentramento (in cui fu internato un quarto della popolazione).
Il tribunale militare di guerra a Lubiana, in meno di due anni, svolse 8.737 processi contro 13.186 imputati. Gli ordini firmati da Grazioli, dal comandante Roatta (che in seguito ordinerà di applicare il criterio della “testa per dente” contro gli Slavi) o dal generale di corpo d’armata Robotti ordinavano di radere al suolo “gli edifici da cui partiranno offese alle autorità o truppe italiane”, di “internare famiglie, categorie di individui e, se occorre, intere popolazioni di villaggi e zone rurali” e “considerare corresponsabili dei sabotaggi, in genere, gli abitanti di case prossime al luogo in cui essi vengono compiuti”.
Le perdite jugoslave nella guerra furono 1.706.000 pari al 10% della popolazione. Nelle parti occupate dagli italiani le vittime furono 437.395, con il 25% delle abitazioni bruciate. La stessa War Crimes Commission a Londra documenta: 1.000 ostaggi fucilati e altri 8.000 uccisi nei rastrellamenti, 3.000 case bruciate, 35.000 deportati, di cui 11.000 morti, 84 morirono per le torture e 103 arsi vivi nelle case. In Montenegro quasi la metà della popolazione fu deportata.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, con la capitolazione dell’esercito italiano e la cessione del potere ai tedeschi, in Istria si scatenò una rivolta popolare di massa che durò fino ai primi di ottobre, ossia fino al ritorno dei nazifascisti. Si trattò di una vera rivolta, con assalti ai luoghi del potere e, distruzione dei simboli di una dittatura feroce che era durata vent’anni, dove agli episodi di aiuto alle migliaia di soldati italiani sbandati, si accompagnò l’istituzione dei cosiddetti “tribunali popolari”, più o meno strutturati, in cui si scaricò l’odio accumulato in vent’anni contro i gerarchi fascisti e l’elite a loro collegata. Alle vittime di queste esecuzioni, molte delle quali furono poi “infoibate”, (con numeri mai definiti) si aggiunsero italiani oggetto di vendette private e crudeltà ingiustificabili contro vittime innocenti e che non vanno assolutamente sminuite.
Inizia qui la tragedia ricordata nel Giorno del Ricordo (omettendo quanto avvenuto dal 1920 al 1943….), dove le omissioni nascondono spesso tentativi di speculazione politica di vicende drammatiche da contrapporre al giorno della Memoria ed al 25 Aprile, con falsificazioni e miti costruiti a tavolino, complice anche certi giornalisti: la foto degli impiccati presentata a Porta a Porta il 4 febbraio 2015 come “esecuzioni sommarie a Trieste”, si riferiva in realtà alla foto di un gruppo di partigiani friulani, uno goriziano e uno sloveno, impiccati a Premariacco, in Friuli, il 29 maggio 1944 e senza tralasciare i tentativi di inserire tra le vittime delle Foibe molti criminali di guerra fascisti caduti in Jugoslavia, al fine di rivalutarli, come ad esempio Paride Mori, ufficiale parmense del Battaglione bersaglieri volontari “Benito Mussolini” (un reparto inizialmente aggregato alle “Waffen SS” e successivamente inquadrato nell’esercito della Repubblica di Salò che combatté a fianco dei nazisti) a cui è stata attribuita una onorificenza per le vittime delle foibe, ma Mori fu ucciso in uno scontro coi partigiani il 18 febbraio del ‘44.).
Fatti questi che non aiutano né la comprensione degli avvenimenti né una “memoria storica condivisa”, possibile solo quando avremo fatto i conti con la storia (il Fascismo, la persecuzione razziale contro gli Ebrei, I Rom, , le guerre coloniali e i massacri in Africa, le guerre d’aggressione e le stragi nella penisola balcanica) e riconosciuto queste colpe, smettendo la retorica degli italiani “brava gente”.
Senza una completa ricostruzione storica, non si rende giustizia in primis alle vittime innocenti delle foibe, che ci furono e meritano rispetto e ricordo ma non certo di essere associate ai criminali nazi-fascisti e di essere strumentalizzate dagli epigoni neo-fascisti di oggi.
Per non dimenticare che furono prima di tutto vittime del Fascismo e della Seconda Guerra Mondiale di cui il regime Fascista italiano fu uno dei massimi responsabili
Appena uscito: Eric Gobetti, E allora le foibe?, Laterza 2021
CIRCOLO PARTITO DELLA RIFONDAZIONE COMUNISTA VALDICHIANA