Solamente nel 2004, con la legge 92 del 30 marzo, la Repubblica Italiana ha istituito ogni 10 febbraio la solennità nazionale e civile del “Giorno del Ricordo”, in memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata e delle vicende del confine orientale. Sicuramente è difficile compensare un silenzio durato 60 anni. Per troppo tempo si è cercato di far dimenticare e questo non deve più avvenire.
Le fasi degli infoibamenti sono due: 1943 e 1945. Quelli del 1943 sono avvenuti con la guerra in corso, quelli del 1945 a guerra finita. Per questo, riferendosi a quest’ultimo periodo si parla di crimini contro l’umanità e non di crimini di guerra.
Le foibe sono grandi inghiottitoi carsici, caverne verticali, precipizi dove vennero gettate migliaia di persone, legate anche in gruppi, nude, prive così di qualsiasi dignità. A volte morivano anche dopo giorni con le ossa rotte e solitamente si faceva così per risparmiare le pallottole.
E’ importante conservare e coltivare la memoria di eventi e momenti tragici della nostra storia, di riaffermare i valori di dignità, uguaglianza e libertà di ogni essere umano, importanza che in un momento come quello attuale diventa ancora più grande quando questi valori vengono quotidianamente minacciati, insieme alla serenità dei cittadini e alla pace nel mondo.
A questo punto mi passa per la mente uno strano dubbio: non so più se ancora abbia senso celebrare le giornate della memoria o del ricordo ( shoah e foibe ).
La risposta è semplice, se alziamo la testa, se ci guardiamo intorno, siamo costretti a constatare che in troppi luoghi del nostro pianeta si continua ad aprire foibe che forse sono state sempre aperte. Stando così le cose, ha senso parlare ai nostri giovani delle tragedie del passato quando nel presente ancora scorrono fiumi di sangue?
Personalmente sono convinto che valga la pena analizzare le tragedie del passato e del presente, solo nella misura in cui esse ci consentono di trovare delle chiavi esplicative capaci di cambiare nel profondo le esistenze singole e collettive. E’ importante studiare la storia per seminare nei cuori e nelle menti consapevolezza e desiderio di trasformare se stessi e la realtà.
La conoscenza storica degli eventi è sufficiente a produrre i cambiamenti auspicabili?
La risposta è no!
E allora ecco cosa propongo: partire dalle tragedie collettive per approdare al cambiamento e all’ impegno personale. Tutte le trasformazioni sociali e spirituali sono nate e nascono quando alcune persone trovano la forza di mettersi al servizio della verità e degli altri.
Per nostra fortuna mentre scorrevano e continuano a scorrere fiumi di sangue, alcuni uomini hanno indicato l’alternativa e talora sono riusciti a costruirla. Il conosci te stesso socratico, l’evangelico amore per i nemici, l’ ahimsa gandiana, se messi in pratica, evitano che lo studio storico si trasformi in mera erudizione.
Tanganelli.angelo@libero.it
Angelo Tanganelli*
*antropologo
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