Dopo quanto è successo alle ultime elezioni amministrative non si può far finta di niente.
Non si può far finta di niente a livello nazionale,
non si può far finta di niente a livello regionale,
non si può far finta di niente a livello provinciale.
E’ riduttivo, come qualcuno ha fatto, limitare la sconfitta, perché di sconfitta si è trattato, a situazioni locali. Il fatto che emerge, al di là di qualche eccezione, è un arretramento del PD nel governo dei territori un po’ in tutta Italia.
Quando si subiscono battute d’arresto pesanti come a Roma o a Torino, quando non si arriva nemmeno al ballottaggio come a Napoli, quando si perdono città e municipi in tutto il paese parlare solo di vicende circoscritte non aiuta a capire quello che è accaduto e ancor peggio non permette di fare un esame veritiero dei fatti.
Le sconfitte non sono mai il prodotto di un solo elemento, è evidente che in molti casi si sono sommate difficoltà a livello locale e un dato nazionale che parla di allontanamento, disaffezione, scarsa fiducia nell’azione politica del PD di una parte del popolo di sinistra.
Perchè quest’allontanamento?
A nostro avviso un peso di non poco conto l’ha avuto un’idea sbagliata del ruolo del partito. Per alcuni il partito deve essere una sorta di grande comitato elettorale che si attiva solo in occasione delle consultazioni mentre per il resto del tempo la politica è riservata agli eletti, a chi è chiamato a incarichi di governo e istituzionali.
E’ un errore.
Infatti quando si perdono i terminali sul territorio, quando non si riesce più a interpretare le aspettative della gente, quando agli occhi degli elettori destra e sinistra diventano intercambiabili è normale che vincano i populismi o la voglia di cambiare tanto per cambiare, anche laddove si è governato bene.
A tutto questo si somma un’azione del governo che se da un lato ha fatto cose buone non viene però percepita come una politica che va nella direzione dei bisogni veri della gente.
La riforma dell’impianto costituzionale, per quanto importante, non riesce a risolvere agli occhi del nostro popolo problemi come il lavoro, i redditi bassi, la precarietà, l’aumento delle disuguaglianze, la diminuzione delle aspettative per i giovani.
L’economia è come sempre il punto centrale e l’azione del governo in questo senso è apparsa debole sul piano internazionale, quando ad esempio non si è capito che la spinta anti-europeista non nasce dal fatto che la gente è contro l’idea di una Europa Unita ma perché avverte l’Unione come una sovrastruttura burocratica, in cui dettano legge i banchieri e la grande finanza. Ma la condotta del governo è apparsa debole anche sul piano interno dove per esempio al Job act non si sono sommate politiche espansive ed abbiamo rotto in maniera traumatica con una parte del sindacato.
La gente non ci percepisce più come un partito in grado di trasformare le cose ma come quello che a parole vuol cambiare ma poi conserva l’esistente.
Il tema non è però, come qualcuno ha detto, che ci vuole più ricambio, più rottamazione, quasi che la causa delle sconfitte fosse un motivo generazionale.
I fatti ci dicono che da molte parti gli sconfitti erano gente nuova, che non apparteneva al vecchio ceto politico e laddove si è vinto si è invece vinto con l’apporto di tutti.
La verità è che c’è bisogno di idee nuove innestate su rami antichi, quelli che si chiamano solidarietà, eguaglianza, pari opportunità, giustizia sociale.
In questo senso ci convincono le parole di un dirigente dei Giovani democratici il quale ha detto che “chiediamo più politiche di sinistra, più umiltà, più ascolto e politica nei territori, la valorizzazione delle persone per merito e competenze e meno per la fedeltà o l’appartenenza a una corrente”.
Parole sante che tutti nel Pd dovrebbero fare proprie.
Più umiltà e più ascolto vuol dire per esempio riallacciare i rapporti con una parte di elettorato che preferisce non andare più a votare.
Le ultime elezioni ci dicono chiaramente che la sconfitta è anche frutto di un diffuso astensionismo. Troppe volte dimentichiamo che il primo partito in questo paese è quello del non voto. Fino ad arrivare a situazioni paradossali, ad esempio ad Anghiari, dove la destra conquista il comune ottenendo gli stessi voti di 5 anni fa.
A fronte di questo si assiste a un vuoto politico che mette paura.
Vediamo quello che è successo nella nostra provincia.
In un colpo solo abbiamo ceduto Montevarchi, Sansepolcro e Anghiari. E in precedenza avevamo perso il comune capoluogo, Castiglion Fiorentino e Bibbiena.
Ogni municipio ha una storia a se, però è inconcepibile che di fronte a una sconfitta come quella al comune capoluogo si sia preferito discutere il meno possibile. Eppure il campanello di allarme era suonato.
In troppi ancora non si rendono conto che la sconfitta ad Arezzo ha aperto le porte a quello che è successo dopo.
Ma perché siamo, arrivati a sconfitte così brucianti che non solo stravolgono gli equilibri provinciali ma anche quelli di area vasta?
In primo luogo il Pd si è adagiato sugli allori, è mancata un’attenta analisi di quello che è successo in questa provincia con la crisi economica. Tante aziende chiuse, diminuzione del reddito, fine di una fase storica che aveva visto il distretto industriale di Arezzo competere a livello nazionale e internazionale. Rispetto a questo il PD cosa ha fatto e cosa ha detto?
Non molto, convinti che le leve del potere locale fossero di per se la garanzia della continuità politica. Non è stato così, abbiamo perso i legami col territorio, non abbiamo compreso che si sono spostati equilibri non solo economici ma di potere.
Non siamo stati in grado di spiegare alla gente come e in che modo si poteva uscire dalle difficoltà, non siamo stati in grado di suscitare speranze e indicare una prospettiva.
A tutto ciò si è sommata la vicenda di Banca Etruria che è stata caricata di un significato politico enorme e sicuramente ha inciso sulla testa della gente oltre che sulle tasche dei risparmiatori. Anche in questa situazione abbiamo balbettato e l’opinione pubblica ha percepito questa nostra incertezza.
Per cui ha avuto buon gioco la destra, perché da noi ha vinto la destra, non i cinque stelle, a indicarci come i conservatori dello status quo, quelli attaccati alle poltrone, gente interessata solo a se stessa e poco agli altri. E loro, che sono i più vecchi del mondo per spirito e ideologia, si sono potuti mascherare da interpreti del cambiamento.
C’è poi un problema tutto interno che si ripete in ogni comune e cioè le nostre divisioni interne. Noi abbiamo perso perché divisi, lo siamo stati a Castiglion Fiorentino, lo siamo stati a Bibbiena, a Montevarchi, ad Anghiari, a Sansepolcro e lo siamo stati ad Arezzo.
Il Segretario Provinciale è stato chiaro quando ha dichiarato “tutte le componenti del partito, se si vuole ritrovare una unità, devono assumersi le proprie responsabilità . A cominciare da chi in nome di un presunto cambiamento si è dedicato più a comitati elettorali che alla vita del partito”.
Le divisioni sono una metastasi terribile che corrode dall’interno e porta all’implosione. Perché si è arrivati a questo?
Da un lato perché la distruzione della “struttura partito” ha portato alla perdita forzata di autorevolezza del gruppo dirigente provinciale, costretto più a cercare di tenere insieme le varie correnti che a costruire percorsi e strategie, secondo perché dentro queste dinamiche si sono inserite logiche personali e distruttive.
La rottamazione è stata intesa secondo il metodo “Pol Pot”: distruggere il vecchio per costruire il nuovo. Per cui si cancella la storia, la vecchia classe politica, per sostituirla con una nuova classe di “puri”, senza tradizioni alle spalle, con la sola caratteristica di essere fedeli fino alla fine.
In questo contesto la battaglia politica, anche al nostro interno, non è stata più un confronto d’idee ma una sorta di gioco a escludere.
Come ricordava quel dirigente dei Giovani Democratici “la valorizzazione delle persone non è passata dal merito ma dalla fedeltà o dall’appartenenza a una corrente”.
Noi aggiungiamo altro, la politica da alcuni è stata interpretata come una partita di rugby per cui si vince a spallate, raggiungendo a gomitate l’agognata meta, rappresentata da un posto in parlamento, in regione, la carica di sindaco, un posto da assessore. Tutto questo possibilmente senza durare fatica.
Anche questo è avvenuto in provincia di Arezzo.
A questo punto che fare?
La strada è obbligata. Ognuno deve assumersi le proprie responsabilità a tutti i livelli compreso il regionale. Il Segretario provinciale,uno dei pochi, ha agito correttamente perchè ha rimesso il mandato . Occorre al più presto possibile un Congresso provinciale per tesi, che definisca con chiarezza linea politica, organizzazione del partito, nuovi gruppi dirigenti, alleanze che non devono nascere da un falso unanimismo ma da un serrato confronto di idee. E comunque è necessario che il Segretario utilizzi tutto il tempo che ci separa da qui al Congresso per fare estrema chiarezza, sulla scia di quanto dichiarato ai giornali.
Il falso unanimismo è un’altra grave malattia perché davanti siamo tutti uniti ma poi appena voltiamo le spalle ognuno organizza la sua conventicola. Se ci sono idee, prospettive diverse è giusto che vengano fuori e ognuna deve avere dignità e rispetto da parte degli altri. Troppo facile e troppo comodo quando si è in minoranza dire vado a giocare per conto mio, ragionando solo con quelli che mi danno ragione. Come allo stesso modo chi è in maggioranza fa “tabula rasa” degli altri.
La cosa peggiore è comunque continuare ad accumulare la polvere sotto il tappeto. Per quanto ci riguarda daremo il nostro contributo per far crescere il PD come partito del centrosinistra, questo significa collegarlo ai valori che appartengono alla storia di questo paese e alle tradizioni che hanno contribuito alla nascita del PD. Non ci interessano le alchimie politiche, vogliamo chiarezza e per questa chiarezza ci batteremo fino in fondo.
PARTITO DEMOCRATICO DI CASTIGLION FIORENTINO