Sospesi, per incapacità o per mancanza di volontà, in un limbo di indecisione, appesi alle notizie frammentarie che arrivano dalle sedi nazionali e alle smentite dell’istante dopo. L’orecchio teso alla nostra gente, alla ricerca di una chiave di lettura che riesca a tenerci incollati ad un partito. Il nostro Partito Democratico.
Per avere una spiegazione del presente, occorre fare un salto nel passato, l’unico che ci permetteremo in questo documento; andando a ritroso, quello che è opaco trovi una spiegazione, spesso non condivisa anche fra noi, ma mai casuale.
Proviamo a dare una lettura che conduca da causa ad effetto, un’analisi su come abbiamo fatto ad arrivare fin qui per poi andare oltre.
Partiamo da una crisi politica ed economica epocale e da un mercato globale senza regole che prende e ancora non restituisce: disuguaglianza e perdita di diritti, un’intera generazione che ha visto raramente due semestri consecutivi con il segno negativo sugli indicatori economici e con grande fatica (è un eufemismo) si affaccia almondo del lavoro.
L’ultimo boom ha lasciato in eredità:
-un debito pubblico che, al lordo degli interessi, fada zavorra a qualsiasi tentativo di ripresa;un processo di globalizzazione dei mercati, duro e veloce, con i suoi chiaroscuri: maggiore mobilità (reale e virtuale) di merci e passeggeri, nuove tigri dell’economia che si affacciano e soffiano quote di mercato a una parte di occidente meno reattiva ad innovazione e ricerca, cioè noi;
-un’Europa politica mai nata che cede il passo alla percezione popolare del “fiscale tecnocrate di Bruxelles”, la rappresentazione plastica che il processo di integrazione è lontano dal determinarsi perché alla nostra cessione di sovranità non c’è contropartita;
-un lento affermarsi dei populismi come risposta ad una domanda di disagio e di paura per l’elevato grado di competitivà sociale e di mercato che il nuovo ordine mondiale ha stabilito.
Intro – Storia nazionale e provinciale
Il PD Nazionale
Il centrosinistra è stato protagonista in pochissimi passaggi, dove però ha mostrato il suo potenziale di governo: l’ingresso in Europa, un passaggio duro e ancora non completamente digerito, resta la miglior azione politica che siamo stati in grado di fare. Doloroso, ci si permetta questo termine, il trattamento che abbiamo riservato a Romano Prodi, che ha il principale merito di questo risultato. Doloroso e incomprensibile soprattutto per gli iscritti e gli elettori del Partito Democratico.
Il Partito Democratico avrebbe dovuto essere guida di questo epocale momentodi cambiamento, ma è mancata una visione, una risposta chiara, un progetto per il paese e una nuova politica industriale, forti della nostra tradizione culturale, del nostro patrimonio artistico e paesaggistico e delle capacità dimostrate da tanti amministratori locali, spesso lasciati soli e rimasti “sconosciuti”, favorendo la visibilità dei capicorrente.
La nostra assenza, le risposte malferme, hanno lasciato campo aperto ad una componente apartitica che utilizza con toni più decisi nella forma, ma spesso ambigui nella sostanza e opachi nei contenuti, parole chiave simili alle nostre.
Arriviamo ad oggi, un PD lento, bloccato, arroccato e talvolta assediato.
La campagna elettorale a luci spente del 2013, l’aggrovigliarsi disituazioni incomprensibili ai nostri militantia partire dall’affossamento di Prodi, i famigerati 101 (preceduti dalla proposta Marini), la rielezione di Napolitano e le larghe intese del governo Letta, rappresentano il tramonto di una classe dirigente ritenuta ormai compromessa e ripiegata su posizioni conservatrici.
Più che partito liquido, un partito liquidato, che ruota intorno a grandi azionisti, vittima di veti incrociati che spengono aspettativa e volontà di cambiamento.Un PD che non è mai nato davvero, una fusione a freddo di gruppi dirigenti incapaci di dare un’anima alla proposta politica e costruire una visione condivisa del paese e dei territori.
Una larga fetta della base del PD chiede di discutere di una nuova e più definita linea politica che ci rialzi dalle secche dove siamo precipitati.
Il PD nella nostra provincia
Questi segnali non sono mancati anche sul nostro territorio.
L’attestarsi di un voto di protesta nei confronti di chi governala nostra regione è un passaggio oggettivamente lecito da attendersi. Quello che dovrebbe destare preoccupazione è la vastità e la profondità del fenomeno: dall’exploit della Lega di qualche anno fa al risultato raggiunto dal M5S all’ultima tornata nel nostro territorio. Tanti i rivoli “eterodossi” che in questi anni si sono staccati dall’orbita del centrosinistra di governo, magari prendendo la forma di comitati (dall’acqua pubblica al no al raddoppio all’inceneritore per dirne due che toccano corde sensibili del nostro elettorato), o col fine di costituire liste civiche alternative e concorrenti (si citano Sansepolcro,Monte San Savino, Castiglion Fiorentino, Montevarchi e molti altri potrebbero essere richiamati).
Perfino il voto delle primarie di novembre, con il miglior risultato di Renzi, candidato per alcuni punti visto alternativo al Partito Democratico, ha mostrato il potenziale della volontà di cambiamento che pervade la base del centrosinistra ed in particolare del voto democratico nella nostra provincia.
Quello che allarma in questo fenomeno è che, se in alcuni casi si fa costruttivo, assume i connotati trasparenti della cittadinanza attiva, come con i comitati per la protezione dell’ambiente, altre volte è opaco e si fa promotore di interessi che nulla hanno a che vedere con queste battaglie di cambiamento. In questi casi la protesta è cavalcata dal gattopardismo, da gruppi di potere che, con la scusa che “tutto cambi”, promuovono proposte politiche “perché tutto rimanga com’è”. I vecchi interessi di parte, dopo il collateralismo con la politica, assumono il volto della protesta, come facile moda del momento, ma al solo fine di preservare antichi privilegi non più garantiti dalle alleanze tradizionali.
Grande è la responsabilità, questa sì, del Partito Democratico, a livello nazionale e locale, nel saper cogliere le differenze: da un lato, per dare forma politica a questi movimenti, aprendosi, ascoltando e tramutando in azione amministrativa le proposte dei comitati, e, dall’altro lato, eliminando il terreno dove si innesta “il trasformismo” solo apparentemente protestatario ed il brodo di coltura dei gattopardi di sempre, contemporaneamente vecchi e “nuovisti”.
Il PD che vogliamo…
Riparte il Partito Democratico
Un’analisi incompiuta, quella appena accennata, che merita di essere posta alla base del nostro congresso locale.
Noi non ci adeguiamo e ci candidiamo a rappresentare i “piccoli azionisti”, una spinta di innovazione che rappresenti semplici iscritti ed elettori, con contenuti precisi e riflessioni mirate. Perché nasca quel Partito Democratico, casa nostra e di tutti coloro che vogliono costruire un futuro nuovo con meno disuguaglianze. Alle nostre latitudini, dove la tradizionale simpatia popolare non lascia spazio all’alternanzadi governo con il centrodestra, elemento imprescindibile delle tradizioni bipolari, ancora maggiore è la responsabilità del PD di creare un’evoluzione del centrosinistra, moderna, laica e scevra da pregiudizi ideologici senza più fondamento, efficiente, equa, verde.
Il Congresso è l’occasione per riflettere e per trovare una proposta che vada incontro alle aspettative del nostro elettorato e dei nostri militanti e ai
tanti delusi che non hanno rinnovato la tessera o che sono molto critici con il PD.
Prima che ai delusi del centrodestra sarebbe fondamentale guardare ai nostri, a quelli che con occhi critici hanno abbandonato le nostre sedi. Mobilitare, anche sul piano strettamente elettorale, è oggi più importante che persuadere. In ogni caso, coinvolgere il cittadino e recuperare la fiducia del nostro elettorato è ormai esigenza pressante. Ci troviamo nella condizione di dover persuadere, oltre che mobilitare, anche l’elettorato tradizionale del Partito Democratico.
Quello degli iscritti è un punto nodale.
Perché iscriversi ad un partito, se non si è coinvolti nelle decisioni importanti? In epoca di decisioni fondamentali per il nostro futuro (tra le tante, quelle sulle risorse energetiche, sulla gestione dei rifiuti, sul progressivo crinale di dismissione del welfare pubblico, sulla gestione dell’acqua, sui diritti, sulle riforme istituzionali) l’impressione dell’iscritto è di dover sostenere decisioni a posteriori, maturate al vertice e in altre sedi.
Non di rado, la protesta nei circoli si è elevata a sistema e non più a eccezione. Fondamentale è il contributo è di Barca:il suo documento ha il merito del sasso tirato nello stagno perché introduce il soggetto “partecipante”, intermedio tra l’iscritto e l’elettore.
Anche laRegione è spesso stata percepita come matrigna per il processo decisionale poco condiviso conelettori ed iscritti: le proteste stesse degli amministratori del Partito Democratico sono un segno allarmante di un dialogo reso difficile da scelte non discusse e condivise con chi si impegna nel partito e nell’amministrazione con gratuità e generosità.
Aggiungiamo e rilanciamo: mai più caminetti,anche locali, ma organismi snelli ed efficaci, un partito organizzato razionalmente con unradicamento fatto di vecchi e nuovi strumenti.
La ricetta è semplice, un partito federale è un partito che prende le decisioni con i propri iscritti, non li chiama a difendere decisioni già prese.
Una nuova capacità relazionale deve essere lanciata all’interno della nostra provincia e con le altre, già in occasione di questo congresso: Arezzo deve contare di più non perché ce lo diciamo fra noi o ce lo concedono gli altri, ma in virtù della propria capacità politica di condividere criticità e soluzioni con le altre province.
In sintesi un partito che sappia coinvolgere i propri elettori con campagne mirate ed organizzate, iscritti che abbiano reale potere decisionale e di partecipazione. Una reale sintesi di posizioni, dalle quali nascono proposte chiare e credibili. Si riparte da qui.
Aperto e plurale
Un PD che torna ad essere comunità. Una comunità viva socialmente e intellettualmente, protagonista perché considera il confronto una ricchezza e il conflitto la conseguenza della mancanza di partecipazione.
L’innovazione e il cambiamento nascono dal confronto e spesso anche dal conflitto.
Una pluralitàche per noi è ricchezza: se vinciamo, lo diciamo subito, avremo il rispetto e l’interesse all’ascolto ed al coinvolgimento di tutte le sensibilità, rispetto, interesse e coinvolgimento dei quali abbiamo visto a volte privato chi si impegna gratuitamente per il partito. Riteniamo che un grande partito moderno si gestisca così, riformando con il contributo di tutti, gli organi pletorici e inefficaci dai quali il PD è caratterizzato.
All’attuale classe dirigente chiederemo un passo indietro e di mettersi a disposizione di una nuova, scelta per merito e non per fedeltà alla nostra idea.
Speranza
In molti ci hanno chiesto perchè ci impegniamo nel congresso del PD, stretti tra personalismi che strangolano il dibattito, a scapito di idee e contenuti.
Se lo facciamo è perchè crediamo che il cambiamento che auspichiamo sia possibile, anche se né facile né banale. Se in Italia il cambiamento è difficilieè perchè molte rivoluzioni si fermano al portone del palazzo e si rifiutano di entrare. Noi non proponiamo una rivoluzione, ma vogliamo giocharea carte scoperte all’interno del PD, portando le nostre idee nel congresso, occasione di confronto con tutti gli altri. Sono importanti i contenuti, soprattutto quando escono dal confronto svolto nelle vallate, per questo parliamo di “mozione” in progress.
Giocheremo le nostrechances con una campagna sui contenuti e non muscolare, nel rispetto delle formule che il nostro partito si è dato.
Non amiamo le luci della ribalta, ma faremo ogni sforzo per rappresentare il sentimento della nostra base, saremo la nuova cinghia di trasmissione, dalla quale ripartire per recuperare l’orgoglio di aderire al nostro partito.
Il Partito Democratico.
Coerenza
Coerenza è mantenere saldi i valori fondamentali: sinistra e lavoro, uguaglianza, diritti e laicità, sicurezza sociale e servizi di base per tutti, quali premessa indispensabile alla concorrenza, come concorso di tutti al bene comune, ed al merito, come risultato dell’impegno e non delle comode amicizie e parentele; ambiente, cultura, innovazione, istruzione e formazione come strumenti e non come impedimenti per lo sviluppo. Coerenza è rispetto sacro della legalità e dei valori e principi costituzionali.
Ma coerenza non è mantenere ostinatamente sempre le stesse soluzioni di governo e amministrazione. Coerenza è far seguire i fatti alle parole e le parole ai pensieri: pensare quel che si dice e fare quel che si pensa e dice; mantenere la parola data all’elettore ed al cittadino; usare un linguaggio di chiarezza; fare proposte nelle quali si crede. Non è più possibile raccontare al cittadino storie opposte a quel che vede realizzato e fare scelte opposte al patto stretto con l’elettore. Coerenza è innovazione nella e della partecipazione, elaborazione delle soluzioni e delle scelte politiche nel confronto e con il coinvolgimento del cittadino, dell’elettore, dell’iscritto, trasparenza e possibilità per tutti di controllare l’amministrazione della cosa pubblica. Condividere le scelte è dare alle proposte politiche la possibilità di essere adattate alle esigenze del cittadino, con la forza necessaria per essere mantenute. Coerenza è credere nella politica, consapevoli che i continui cambiamenti ed i posizionamenti tattici non uccidono solo i partiti, ma la possibilità, per il cittadino, di scegliere e di dare ancora fiducia alle istituzioni democratiche. È sinonimo di credibilità della politica, come difesa della stabilità democratica.
Coerenza è per noi credere nel Partito Democratico. Ci impegniamo perché possano continuare a crederci tutti i suoi iscritti ed elettori di ieri e perché possano crederci quelli di domani.
…per costruire oggi l’Italia di domani…
Sinistra e lavoro
Il PD nasce dall’idea di mettere insieme il meglio dei riformismi italiani: questo non vuol dire rinunciare né ai contenuti né ai valori fondamentali della sinistra; ne va della sua stessa identità.
Prima di tutto il lavoro.
Pensiamo ad una sinistra di governo, una left europea,che diminuisca la pressione fiscale sul lavoro per cittadini e imprese prima che sui patrimoni e che lotti efficacemente contro l’evasione fiscale proprio perchè fiscalmente credibile, che non poggi le sue speranze sull’aumento del debito e che possa ridurre la spesa pubblica con passaggi mirati sulla macchina burocratica dello stato: un’operazione rivoluzionaria mai effettivamente tentata. E che parta da uno ed un semplice presupposto: ridurre le disuguaglianze che sono esponenzialmente cresciute in questi anni.
Uguaglianza
Dopo decenni nei quali è stato raccontato a più riprese che senza disuguaglianza non c’è crescita e senza crescita non c’è possibilità di redistribuire, oggi vediamo con chiarezza cheèsenza uguaglianza che non c’è crescita e, senza crescita, possibilità di ridistribuire la ricchezza ed anche tenere i conti pubblici in ordine. Oggi vediamo che solo se tutti i cittadini sono messi in grado di produrre, di contribuire alla ricchezza nazionale, si possono formare le risorse per pagare il “debito”, garantire dignitose condizioni di vita, rilanciare gli investimenti e lo sviluppo. Noi l’affermiamo con forza: l’uguaglianza è la premessa per lo sviluppo, non è la sua eventuale ed auspicabile conseguenza.
Diritti e laicità
Le parole”uguaglianza” e “diritti” saranno la nostra bussola. Abbiamo bisogno di una sinistra laica, ma siamo convinti di non essere troppo lontani anche da molte perplessità presenti nella riflessione cattolico-sociale attuale,dalla qualecontiamo di ricevere un contributo costruttivo.
Un’Italia laica non è un luogo dove il cattolico diventi “figlio di un dio minore”, ma dove tutti possano effettivamente crescere e migliorare, esercitando la libertà di pensiero e di espressione, valorizzando il confronto. Fare tesoro di quella laicità che non è “neutralità”, ma crescita comune, intorno al progresso della scienza ed ai principi dello stato di diritto.
Nessuno ha da temere se la scienza offre nuove opportunità, come sempre è accaduto e come è proprio di essere pensanti quali noi tutti siamo, laici, cattolici o qualsiasi altra cosa ci definiamo. Tutti siamo credenti, nel senso che tutti crediamo nei valori che l’uomo ha saputo costruire con fatica. Unendo le forze, nel valore della Politica e nei valori democratici.
Nessuno ha da temere se i diritti di tutti crescono, anche di chi non ne ha o non ne ha ancora, senza limitare quelli di nessuno. Tutti siamo più poveri se fermi a battaglie astratte ed ideologiche, a guerre di religione ormai superate.
Questa è la nostra tradizione, dai tempi nei quali, per primi, fondammo i comuni formati da cittadini liberi a quando, con Galileo e la tradizione scientifica soprattutto toscana, fondammo la scienza moderna. Questo è l’antico sentimento popolare che anima la nostra azione e la fiducia nella nostra proposta.
Concorrenza e merito
“Concorrenza” è una parola che come tante ha ormai perduto il proprio significato. “Concorrenza” non è una giungla dove il più forte brutalizza il più debole. “Concorrenza” è una comunità dove tutti con-corrono, corrono insieme, danno tutti un contributo al benessere di tutti e di ciascuno, chiaramente inseparabili. E lo possono dare perché tutti partono dalla stessa linea e tutti possono raggiungere, con lo studio ed il lavoro, lo stesso risultato. Oggi l’Italia non permette questo ai suoi cittadini e, sempre più, con la compressione del welfare, c’è chi è messo in grado di ottenere i frutti del proprio merito e chi, anche meritando, non ha i mezzi elementari per far valere le sue capacità, magari pagando ad altri pezzi di welfare insufficienti per sé stesso. E sognando di andare altrove, come succede a troppi giovani, spesso di valore, anche nella nostra provincia, che, come un tempo, diversamente da un tempo, “trovano fortuna” all’estero. Noi ci impegniamo per un’Italia, dove vogliano venire a vivere non solo i pensionati, ma i giovani di tutta Europa. Oggi, concorrenza e merito sono parole vuote, senza un efficace rilancio dello stato sociale, dei diritti universalistici, delle garanzie, minime, ripensate, ma forti. Senza l’uguaglianza assicurata dalla politica, senza la quale le “politiche” sono astrazione.
Per questo oggi è chiaro che, come afferma Pippo Civati, “la modernità è a sinistra”. Questo è stato ed è per noi il progetto, non il sogno, del Partito Democratico.
…a partire dalla nostra terra…
Sociale
Una piccola pagina su uno dei temi cui teniamo profondamente, quello del welfare. Con la voglia di fare ulteriori approfondimenti.
Occorre immaginareun sistema economico e una governance pubblica che assicuri efficienza e universalità del servizio, forte di quello spirito solidale di equità che questa terra ha sempre avuto.
La nostra riflessione si basa sul recupero del valore professionale e qualitativo da confrontarsi con una tendenza storica difficile. I progressivi tagli di questi anni hanno inciso profondamente sui bilanci delle amministrazioni del nostro territorio.
La risposta che stanno approntando gli Enti Locali in modo confuso ed affannoso va verso la deregolamentazione e la mercatizzazione dei servizi: apertura al “volontariato”, fiorire di strutture e servizi privati a “qualità variabile”, applicazione di norme europee che negano qualsiasi valore alla territorialità e valutano il prezzo come indicatore prevalente e quasi esclusivo. La logica preponderante è quella ragionieristica, dei tagli trasversali e dell’abbassamento dei costi laddove il costo prevalente è quello del personale, del lavoro e dunque della qualità e dell’efficacia dei servizi stessi.
E questo è per noi un punto di riflessione importante: fino a dove arriveremo? Il nostro partito deve compiere una scelta politica qualificante perché rispetto a questo tema ci giochiamo molta della nostra realtà di centrosinistra moderno ed attento alle esigenze dei suoi cittadini.
Una dismissione progressiva del sistema di welfare accompagnata dal degrado del sistema di istruzione pubblica e dagli attuali tassi di disoccupazione non può far altro che sciogliere il patto tra cittadini e istituzioni democratiche con conseguenze preoccupanti.
Le famiglie non possono essere lasciate sole. Dobbiamo sostenere la rete dei servizi sanitari e sociosanitari, con particolare riferimento alle attività di prevenzione primaria e secondaria, alla integrazione sociosanitaria e alle politiche di sostegno dei minori, delle donne e degli adulti in difficoltà, soprattutto degli anziani. Possiamo farlo attraverso l’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI), la realizzazione di Centri diurni decentrati, le abitazioni assistite e di sollievo, le Case famiglia per persone fragili a rischio di abbandonoe/o di emarginazione.Un progetto attuabile mediante la collaborazione, dell’Azienda sanitaria locale, del Distretto/Zona, delle Case della salute, e con il coinvolgimento di famiglie, Enti pubblici e privati.
Dobbiamo infine salvaguardare l’attuale rete ospedaliera rimarcando le potenzialita che anche i piccoli ospedali PO3 possono avere nell’ottica di un servizio provinciale o di area vasta. Incentivare l’utilizzo pieno di tutte le strutture del territorio facendo muovere i professionisti e le equipe e realizzando servizi e reparti ad alta specializzazione anche nei territori periferici.
Noi non ci adeguiamo: siamo pronti a questa discussione, mattone fondamentale della politica e dell’amministrazione nei prossimi anni.
Unione dei Comuni, Servizi, Partecipate
Anche qui, qualche pillola sul tema, che deriva dalle riflessioni fatte in questi mesi.
E’ necessario partire dalla considerazione che ogni Comune della Provincia ha impellenti esigenze di sviluppo e di buona gestione delle risorse, ma nessun Comune, da solo, è in grado di raggiungere questo fondamentale obiettivo. Non solo per una programmazione in un’ottica di sviluppo sostenibile, ma anche per la gestione di servizi fondamentali. Da qui il bisogno di valutare l’ipotesi di dar vitaalle Unioni dei Comuni, Enti locali pluri-funzionali che, su basi volontarie, siano chiamati a programmare e gestire attività e servizi che richiedono una dimensione sovracomunale. Fino alla fusione dei comuni, quando sostenuta e resa efficace da una effettiva partecipazione e da una forte condivisione dei processi di aggregazione.
Un altro tema sul quale si è creato dibattito in questi anni, originando anche analisi sghembe e astratte, è quella che ha opposto le visioni liberali e socialdemocratiche sul terreno dei servizi.E non perché non vi siano differenze sostanziali, ma perché, tra il confronto teorico e quello reale, viene fuori un paese (e la nostra provincia non fa eccezione) assai corporativo, per molti aspetti conservatore di rendite acquisite e per altri aspetti opaco. Il primo passo, spingendo sugli open data, è di rendere l’azione politica più trasparente e garante di un adeguato accesso all’informazione durante i processi di assegnazione dei servizi edil loro monitoraggio, a partire dai processi all’interno del nostro Partito Democratico.
Una “glasnost” di open dataaccessibili, leggibili e, perchè no, utilizzabili per fini di servizio o commerciali.
Per poter riformare il sistema e poter soddisfare efficacemente i bisogni del cittadino/utente, occorre siano superati alcuni pregiudizi. Ne sottolineaiamo due: il primoè cheche non possiamo pensare di governare i processi gestionali dalla sola cabina di regia aretina; il secondo è che le authority di tipo anglosassone (si pensi agli AATO)non hanno avuto la capacità e il coordinamento per una liberalizzazione trasparente e capace di assicurare le necessarie efficacia ed efficienza del servizio.
Le Partecipate o aziende di servizio pubblico sono da ripensare e razionalizzare. Il PD, in rappresentanza dei cittadini, ha il diritto/dovere di indicare, con trasparenza, ai vertici delle partecipate, personalità di qualità, evitando di essere presente in organi con funzioni di controllo e, contemporaneamente, in società soggette al controllo stesso.
Centrale è ribadire il valore “etico” di alcuni servizi, come dimostrato dai referendum sui beni comuni, in particolare su acqua e sistema di rifiuti (un bellissimo ossimoro del ciclo di vita del territorio): il valore dialcuni beni comuni fondamentali non è riducibile a quello di mercato.
Questa riflessione, tradotta sul piano tecnico, è da fare su tutti i monopoli naturali (reti e asset non ripetibili come inceneritori e discariche): prima di liberalizzarli, deve essere svoltauna oggettiva valutazione di economicità ed efficienza che è sembrata mancare in alcune fasi di questo decennio.
Negli ultimi anni sono cresciuti veri e propri colossi multiservizi, i cui azionisti sono amministrazioni pubbliche che ricavano benefici da sinergie di servizio e di mercato, distaccandosi progressivamente dalla dimensione di controllo, con la nascita di Holding con obiettivi e pratiche intermedi tra quelli dei consigli comunali/provinciali e quelli di politica industriale. Ne sono esempi Hera, Iren ed altri.Rispetto a questa scelta abbiamo maturato un distacco che pare incolmabile, nonostante alcuni tentativi, più finanziari che industriali, siano stati compiuti anche sul nostro territorio. E senza che il Partito Democratico al suo interno abbia vissuto una vera e propria stagione di confronto.
Anche in questo settore, è prioritario indirizzare una vera e propria spending review consapevole. Ridurre il portafoglio alle partecipazioni che si ritengano di solo interesse pubblico e sociale e tagliaredrasticamente le aziende pubbliche in perdita che da tempo non portano valore aggiunto alle nostre comunità. Siamo stati in grado di gestire autonomamente le principali aziende pubbliche; adesso quel modello è superato e va innovato: ne va costruito uno ristretto ai beni fondamentali, pubblico, efficiente, con particolare attenzione ai monopoli naturali. Inquadrarci verso un’ottica multiservizio, con qualità e senza sovrapposizioni.
Ambiente, manutenzione e sviluppo
L’ambiente e il suolo come la risorsa materiale più rara, da non sprecare perchè patrimonio economico irrinunciabile se si vuole rilanciare il turismo e il valore del territorio stesso.
Non manca l’esperienza di buone pratiche e di tecniche innovative di riqualificazione territoriale. Tra queste si citano:
-riqualificazione delle aree industriali dismesse e zone produttive di qualità da associare ad incubatori d’impresa ed alla promozione di start-up in sinergia con università ed amministrazioni locali;
-rilancio e promozione internazionale delle produzioni agricole locali, anche come forma di preservazione del paesaggio; tutela dell’agricoltura e del presidio del territorio da instabilità e rischi di frane.
-ripensamento della mobilità con al centro il trasporto pubblico, in particolare su rotaia per le principali tratte;
-vivibilità dei centri storici e dei quartieri residenziali e polifunzionali;
-produzione energetica diffusa secondo il modello delle città intelligenti;
-recupero e valorizzazione degli edifici storici e riqualificazione di quelli più recenti.
Cultura e sviluppo
La nostra è una provincia straordinaria per patrimonio storico ed artistico. Il turismo può essere una fonte di lavoro ed un volano economico importante. Ma occorre creare un marketing territoriale efficiente e meno campanilistico, un’offerta capace di allettare i tour operator. La formazione di operatori di management adatti a questa sfida è un passaggio obbligato.
La cultura, che sentiamo troppo spesso citata a sproposito, necessita di risorse umane adeguate: il pendolo che corre da casi di isolato mecenatismo a programmazioni ed eventi culturali inadeguati e alieni al nostro territorio deve essere superato con una strategia nuova di rilancio e con un appropriato piano di sviluppo pluriennale. Un movimento culturale che sia ospitato dalla politica e non da questa stravolto: il fine è la creazione di una vera e propria economia della cultura, che crei valore aggiunto e, perché no, profitto.
Alle amministrazioni il compito assegnato è di coordinamento e di proposta, che può avvenire con l’integrazione di progetticofinanziati, con il supporto ad attività di nicchia a evidente rischio di fallimento di mercato ma con alta rilevanza sociale e con la promozione di interventi, grandi e piccoli, ma sempre capaci di intercettare le potenzialità di sviluppo delle comunità attraverso la cultura e l’innovazione. Attraverso la cultura dell’innovazione.
Innovazione e Cultura: una cultura dell’innovazione
L’innovazione nasce dal conflitto, non dalla ossessiva richiesta di pacificazione e unità avvenuta in questi anni. “Non c’è alternativa” è lo slogan più di destra che esista: se ci impegniamo è per costruire questa alternativa.
Da questo punto di vista ogni operazione che voglia essere innovativa necessita di una rivalutazione critica dei paradigmi che hanno costruito lo status quo. Ed è la cosa più di sinistra che ci sia, quella di compiere uno sforzo critico verso i nostri processi burocratici e procedurali per trovare forme nuove che si adattino ad un’epoca nuova, che non deve vederci impegnati nella sola difesa del passato.
A lungo abbiamo associato la parola innovazione ad argomenti tecnici e accattivanti, come internet e green economy. In realtà si tratta di un processo culturale orizzontale che si estende in tutti i campi e che nella nostra provincia è stato carente. Un processo al qualevogliamo rivolgerci. Non ci interessa solo tutelare l’esistente, ma creare qualcosa di nuovo che oggi non c’è.
Le nuove tecnologie come mezzo per la diffusione della nostra impresa e della libera informazione nel nostro territorio, affiancate da un’elevata alfabetizzazione tecnologica che ci renda in grado di tornare a competere nel Mondo e preceda le altre provincie italiane. La nostra provincia si contraddistingue per un’elevata propensione all’innovazione: coniugare la tradizione con l’hi-tech può portare a sinergie imprenditoriali importanti.
Scuola e istruzione
Ripartire dalla scuola e dall’università, per la formazione del cittadino e per offrire competenze spendibili, rimettendo in moto la crescita sociale, ormai interrotta da un’istruzione mortificata.
Porre al centro l’istruzione pubblica, con la quale riannodare un dialogo costante, promuovendo progetti e programmi di medio e lungo periodo con scuole ed università. Integrare l’offerta formativa con scuole specialistiche, valorizzando le conoscenze tacite del nostro territorio e le potenzialità di crescita offerte da nuovi campi di ricerca e formazione. Istituire reti, tra scuole ed università ed imprese, in una logica di programmazione coordinata dall’amministrazione pubblica ed orientata ad una reale finalità pubblica, ad un’effettiva promozione della collettività, attraverso maggiori opportunità per i cittadini più svantaggiati.
La sinistra non è sinistra se non rimette la scuola e l’istruzione al centro, non solo come strumento per l’acquisizione di competenze e la promozione personale, ma, senza ambiguità, come luogo di incontro della comunità, di formazione a quei valori comuni e condivisi, capaci di unire la comunità nazionale e le comunità locali intorno ai principi della convivenza civica e civile. In questo senso, la centralità dell’istruzione diviene centralità della formazione del cittadino, da supportare non solo attraverso la scuola e l’università, ma con centri e contenitori culturali, capaci di offrire sempre nuove opportunità di conoscenza e formazione e di rappresentare luoghi di incontro, inclusione, relazione. Luoghi di integrazione culturale perché sociale, sociale perché culturale.
Alternativa, possibilità, cambiamento
Il congresso del Partito Democratico, sopratuttto alle nostre latitudini, è il momento in cui evidenziare le nostre proposte. Non sfugge a nessuno l’importanza dell’evento in Toscana e nella Provincia di Arezzo: siamo il partito di governo in una terra dove la tradizione politica è fortemente legata alla simpatia per la sinistra.
Affermiamo con questo documento la volontà di marcare e di rappresentare un’area politica del nostro partito consistente anche se non evidente. Parliamo ai delusi di questo PD, ai nostri militanti di base più che alla nostra dirigenza. Perchè sappiamo quante potenzialità ci siano dentro l’elettorato del Partito Democratico e quanto quella scintilla e motore di ripresa alberghi ancora nei cuori dei nostri elettori, anche se offuscata dalle delusioni di questi anni. Pensiamo che si possa essere moderni e di sinistra, contraddicendo un luogo comune.
Per questo motivo ci impegniamo ad essere un’alternativa nel Partito Democratico, per offrire a tutti i suoi iscritti ed elettorila possibilità del cambiamento.
Per questo motivo ci impegniamo perché ogni cittadino possa pensare, per la nostra provincia e per l’Italia, che
il Partito Democratico è l’alternativa, la possibilità, il cambiamento.
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