Abbiamo fatto tutti i conti con la morte che ti sottrae alla tua comunità, agli amici e agli affetti più cari. Per accettarla bisogna aver fatto bene i conti con la vita, non averne in sospeso, aver fatto il proprio dovere ed essere in pace con la propria coscienza. Quando mi sono trovato davanti al feretro di una persona a cui ho voluto veramente bene ho cercato di decifrarne l’espressione con smarrimento, stupore ed una grande angoscia. Perché la morte non concede appelli e ti porta via per sempre. Il sentimento più grande che lascia è il rimpianto, il ricordo delle occasioni perse, dei momenti passati insieme, dei ragionamenti fatti ma, soprattutto, la sensazione che chi ci ha lasciato avrebbe meritato un’attenzione maggiore, una carezza, un abbraccio soprattutto quando, per problemi di salute, si è ritirato nella sua casa e si è allontanato dalla cerchia dei suoi amici. Alle persone bisogna voler bene in vita perché dopo è tardi, non si può più dire quello che non si è detto, non si possono eliminare le incomprensioni, fugare i dubbi e rompere il silenzio. Io ad Alfiero Scarpini ho voluto davvero bene: ci ha unito per tanti anni la politica e la politica ci ha diviso.
Non ci rivolgevamo la parola da 22 anni, dal Congresso di Fiuggi che segnò la fine irreversibile di una comunità umana meravigliosa, quella del Movimento Sociale Italiano, più forte delle persecuzioni politiche e giudiziarie, della tragica morte di tanti giovani militanti, di un ostracismo vergognoso che ci aveva rinchiuso in un ghetto ma ci aveva consentito di custodire gelosamente la nostra fede.
Se lui mi rimproverava di essere rimasto ancorato al passato e di non aver aderito ad Alleanza Nazionale, io trovavo incomprensibile che potesse aver “tradito” i valori che avevano ispirato la sua adesione giovanile alla Repubblica Sociale Italiana. Del resto non potevo far parte di un partito che nel suo Statuto affermava che…. “l’Antifascismo ha ripristinato quei valori di libertà che il Fascismo aveva conculcato”.
Non ci siamo più parlati, non c’è stato più neanche un saluto. Ci siamo incontrati tante volte in Rugapiana, ci siamo annusati, guardati, osservati e volutamente ignorati.
Lo splendido cinquantenne che ho conosciuto tanti anni fa, piano piano è invecchiato, ha perso lucidità e brillantezza, ha smesso di frequentare il Bar Signorelli dove conversava per ore con amici ed estimatori, tenendo banco ed illustrando le sue idee.
E’ stato l’ultimo dei “Fascisti” cortonesi che il diciottenne Mauro Turenci giunto a Cortona con la testa rotta ed accompagnato da una pessima fama (…) ha avuto la possibilità di incontrare e l’ultimo ad andarsene.
Nella primavera del 1975 avevo già conosciuto Renato Morini, Carlo Marchesini, Beppino Ghezzi, Alfredo Fazzini, ero riuscito a capire chi fosse il Dott. Muzio Chieli, ero stato nell’Officina di Valerio Pagani meccanico validissimo e mago dei motori, ero riuscito ad entrare in contatto con figure umane e professionali lontane anni luce dai camerati che frequentavo al liceo e all’università. All’immagine degli studenti che rischiavano la vita davanti alle scuole romane si è sovrapposta l’immagine del camerata restauratore che ti accoglieva nella sua bottega con i capelli pieni di trucioli, del camerata autista di pullman di linea, del camerata meccanico con la tuta sporca di grasso, del camerata medico con il suo camice bianco e tutti, immancabilmente tutti, mi promettevano che mi avrebbero fatto conoscere “il maestro”. Così l’appellavano con deferenza e rispetto e ho capito subito che si trattava di una figura importante, carismatica e di rilievo. Di maestri ce n’erano tanti ma l’articolo determinativo sottintendeva qualcos’altro: ben oltre la professione che esercitava con la stima e la considerazione di tutti, sottolineava l’unicità del personaggio. “ Maestro”, del resto, veniva chiamato anche Gesù che camminava sulle acque, moltiplicava i pani ed i pesci e diffondeva un messaggio di pace e di speranza. La prima volta che l’ho visto indossava il cappello e gli immancabili occhiali, aveva un bellissimo sorriso. Ho scambiato con lui due parole davanti al Bar Signorelli ed è cominciata una frequentazione lunga ed assidua. Quante ore abbiamo passato insieme nella Sezione di Via Maffei, quanti manifesti ho scritto dopo aver ragionato con lui nella bacheca del Movimento Sociale Italiano di Rugapiana che avevo recuperato nella cantina polverosa di Carlo Marchesini! Quante volte abbiamo litigato e quante volte abbiamo fatto pace al termine di discussioni interminabili pur rimanendo immancabilmente della stessa opinione! Alfiero è stato anche uomo delle istituzioni e mi ha insegnato a muovere i primi passi in Consiglio Comunale in anni difficilissimi quando l’agibilità politica era molto problematica e far valere le nostre ragioni era quasi impossibile. Erano gli anni in cui i giovani avevano autentiche figure di riferimento, gli ex Repubblichini erano splendidi cinquantenni, le ideologie sembravano non dover morire mai e la politica era una missione rischiosa e non uno strumento sordido per fare soldi e carriera. Alfiero mi ha preso tante volte a calci, soprattutto durante e al termine di congressi animati e complicatissimi ma sono sicuro che mi stimava e mi voleva bene. Forse l’ho deluso per la mia scelta di non aderire ad Alleanza Nazionale, forse per la tragica e penosa involuzione di quel partito si è pentito pure lui. Purtroppo non lo saprò mai. Le ultime volte che ci siamo incontrati l’ho visto sofferente, camminare a piccoli passi e con fatica. Avrei voluto fermarlo, abbracciarlo (non l’ho fatto mai…), dirgli che mi mancava la sua amicizia e che gli volevo bene. Alla fine gli incontri si sono diradati perché il tempo è impietoso, le forze vengono meno e ti costringono a casa. Di recente avevo chiesto al Dott. Fabio Procacci, che ha sposato sua figlia Cristina, “Come sta Alfiero”? Chiedevo anche se era il caso di andarlo a trovare per scambiare due parole e rinvendire un’amicizia autentica costruita su basi solide e profonde. Poi è arrivata, all’improvviso e dolorosissima, la notizia della sua morte e la consapevolezza amara che bisogna mettere da parte l’orgoglio e volersi bene in vita perché “dopo” la morte cancella le persone e le opportunità.
Credo che la sua figura e il suo ricordo non mi abbandoneranno mai.
Con il lavoro che mi porta sempre in giro per l’Italia ho poco tempo per venire a Cortona. I miei amici piano, piano se ne sono andati, le botteghe artigiane hanno lasciato il passo alle paninoteche e al cinese che vende le borsette in Rugapiana.
E’ cambiata la scenografia ma sono cambiati soprattutto il tessuto sociale, i valori, la sensibilità ed i sentimenti.
Ci ha lasciato una generazione che ha rischiato la vita per difendere le proprie idee, non arretrando di un millimetro ed abbiamo la consapevolezza di non essere riusciti ad afferrare, come avremmo dovuto, un testimone prezioso del quale non abbiamo capito l’importanza.
Addio Alfiero, grazie per aver dedicato tanto tempo a quel ragazzino con la testa rotta arrivato da Roma che ti ha fatto arrabbiare mille volte, grazie per avermi trasmesso dei valori.
Perdonami, soprattutto, se non li ho mai traditi.
Mauro Turenci
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