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Riordino Province, tanto rumore per nulla

Arezzo autonoma! Con questo grido trionfalistico le istituzioni e i personaggi politici avevano fatto la gara per attribuirsi il merito di una conquista rivoluzionaria: il decreto 188, quello del cosiddetto “riordino delle Province”, riduceva le Province da 86 a 51 ma lasciava sana e salva Arezzo. Nella guerra dei campanilismi, per gli aretini la soddisfazione non risiedeva tanto nei presunti vantaggi della Provincia autonoma, quanto nel godere di vedere Siena subordinata a Grosseto.

Bene, è storia di 40 giorni fa, e da allora la cosa è finita quasi nel dimenticatoio. Il dl venne approvato a fine ottobre e venne firmato da Napolitano solo il 5 novembre: eh già, di mezzo c’è stato il ponte di Ognissanti. In teoria c’è tempo fino al 5 gennaio per convertirlo in legge. Ma ci sono tre problemi grossi come una casa: innanzitutto, come era ampiamente prevedibile, la commissione Affari istituzionali del Senato si è trovata a far fronte ad una serie infinita di emendamenti presentati da vari parlamentari in difesa delle diverse istanze localistiche, una procedura già criticata dal ministro Patroni Griffi; poi c’è da decidere sulla pregiudiziale di incostituzionalità posta dal Pdl (e sulla quale l’aula vota mercoledì) e, at last but not least, le voci delle ultime ore vogliono che si vada al voto anticipato a febbraio (probabilmente il 24, ma c’è chi spinge per il 10), il che significa che le Camere verrebbero sciolte fra Natale e Capodanno. Restringendo in modo preoccupante tempi per la discussione in Parlamento del decreto legge.

Per dirla altrimenti, il rischio tangibile è che la montagna partorisca il topolino. Che si torni al punto di partenza. Anzi peggio. Secondo un report del ministero della Funzione pubblica, reso noto proprio oggi, “la mancata conversione comporterebbe una situazione di caos istituzionale”. In sostanza, il primo gennaio rimarrebbero i confini provinciali di ora, però, con il ritorno in atto del decreto “salva Italia”, le Province avrebbero solo ruolo di indirizzo e coordinamento, con conseguente trasferimento delle funzioni  alla Regione, che entro il 31 dicembre dovrebbe per forza di cose riallocare alcune di queste funzioni ai Comuni. I dipendenti della Provincia passeranno il Natale a chiedersi dove e se lavoreranno il 2 gennaio. Un caos, appunto.

Un mese fa si festeggiava come una vittoria l’autonomia di Arezzo, e adesso cosa facciamo? Se vogliamo tutelare l’ente Provincia,  è adesso che c’è da lottare in difesa delle sue funzioni (come per esempio strade e scuole di secondo grado), mica prima! Martedì il dl, con alcune modifiche, dovrebbe approdare al Senato, e quindi ci potrebbe essere una svolta ma, a prescindere da quello che accadrà, questa vicenda mi ha dato lo spunto di riflessione per due considerazioni.

1. Noi giornalisti abbiamo gravi colpe. Annebbiati dalla mania di sparare titoli sensazionalistici, dalla leggera sopravvalutazione del lettore e, soprattutto, dalla nostra ignoranza in materia di diritto pubblico, a volte diamo per scontato che l’approvazione di un decreto legge significhi esecuzione. Niente affatto. C’è da superare lo scoglio delle Camere che, in caso di decreti volti a “violentare” le sensibilità localistiche, diventa spesso invalicabile. Noi giornalisti dovremmo usare il condizionale in quei casi, non dire “Arezzo sarà autonoma”, ma semmai: Arezzo sarà autonoma, se Camera e Senato decideranno così.

2. A proposito di sensibilità localistiche. Ammesso e non concesso che il riordino delle Province sia cosa buona e giusta, va da sé che è un argomento molto sentito dalla gente. Sentito come l’Imu o la legge di stabilità, perché se è vero che l’eliminazione della Provincia non tocca il portafoglio delle persone comuni, è altrettanto vero che tocca il loro orgoglio. Dubito che Monti, Patroni Griffi e co., mentre erano lì seduti a ridisegnare la cartina dell’Italia, non avessero pensato al fatto che in Parlamento c’è la rappresentanza di tutte le realtà provinciali e che nessuna avrebbe fatto un passo indietro (purtroppo).  Hanno voluto comunque sparare all’opinione pubblica questo decreto legge. Allora un consiglio al quasi dimissionario Monti lo darei volentieri: ma perché, visto che c’era e visto che doveva spararla grossa, non le aveva eliminate tutte? Se cancelli Pisa, forse Livorno accetterebbe anche di morire. Non ci sarebbe più motivo di contesa.

Luca Trippi

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Luca Trippi

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