Sono agnostico e non ho mai avuto un rapporto esplicito e diretto con il cattolicesimo romano, fatta ovvia eccezione per il “periodo di catechismo” di quando ero bambino. Sono diventato adulto con Giovanni Paolo II e il mio primo conclave è stato quello del 2005, quando fu eletto l’adesso papa emerito Joseph Ratzinger. Devo ammettere, per onestà intellettuale e umana, che quel giorno non ho provato particolari emozioni nel vedere Benedetto XVI affacciarsi dal balcone e, per gli anni del suo pontificato, ho seguito poco l’attività papale.
Il 13 marzo appena scorso è stato invece differente. Non tanto al momento della fumata bianca, ma dopo, quando ho visto per la prima volta il nuovo successore di Pietro. Non è stato certamente il famigerato colpo di fulmine, paragonabile a una conversione sulla via Damasco, eppure ho avvertito qualcosa di diverso davanti al viso mite di Jorge Mario Bergoglio.
Sarà stato forse quel “Buonasera”, così colloquiale, così alla mano, per niente pomposo o altisonante.
Sarà stata l’umiltà mostrata quando si è chinato davanti alla folla in silenzio dopo aver chiesto di pregare per lui, dopo aver chiesto alla gente comune di dire una preghiera per il Papa.
O forse sarà stato per il nome scelto, per quel Francesco che riporta alla memoria il Poverello di Assisi, l’uomo che più di ogni altro ha gettato le basi per un nuovo modo di vivere il cristianesimo, il rapporto con la fede, con il prossimo e con il mondo nella sua totalità (basta leggere il Cantico delle Creature per capire cosa intendo). Un santo cristiano che ha fatto dell’umiltà e della povertà un modello di vita.
Oppure tutto sarà dipeso dal fatto che, vedendolo, ho avuto la sensazione forte e viscerale di trovarmi davanti a un autentico uomo buono. Un uomo buono diventato Papa in un momento storico nel quale sono in molti a chiedere alla chiesa di tornare a quei valori fondanti professati da Gesù Cristo nei vangeli canonici.
Il filosofo René Girard, inizia il suo libro Vedo Satana cadere come la folgore sostenendo che una delle caratteristiche del nostro tempo è la crisi delle religioni e che sono molti gli intellettuali a parlare della nostra come di un’era post cristiana.
Non mi azzardo neppure a patrocinare una tesi simile, perché non sono né uno storico né un filosofo della religione, tuttavia mi prendo l’onere di affermare che questo è indubbiamente un periodo delicato per il cristianesimo istituzionale, con scandali che, passate il termine, spuntano come funghi e con un ormai palpabile e anacronistico divario tra chiesa e “società civile”.
Vedendo il Papa venuto “dalla fine del mondo”, vestito di bianco, senza fronzoli e con una croce di legno al collo, ho avuto la sensazione che questa possa essere l’Occasione (sì con la “O” maiuscola!) per la chiesa di riformare se stessa e imboccare così una strada del tutto nuova, o antichissima, dipende da che prospettiva si guarda il tutto.
È stata soltanto un’intuizione e tra qualche anno sarà la storia a giudicare il pontificato di Jorge Mario Bergoglio, tuttavia ho condiviso per la prima volta quel Gaudium Magnum che precede l’Habemus Papam, e per uno come me, con delle idee granitiche su certi argomenti, questo può essere già considerato il primo passo del nuovo Papa nella direzione giusta.
Stefano Milighetti.
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