Nella consueta rassegna catastrofista dei servizi passati in telegiornale in questi giorni, si pone sempre l’accento sul presunto declino dello spirito natalizio. Le cifre reali sull’effettivo calo dei consumi natalizi ormai non contano più, e comunque conviene spararle grosse, tanto per i sondaggisti la matematica resta sempre un’opinione. Si confeziona un servizio con immagini prese dal Natale 1998 e si dice che c’è la crisi, non si fanno più i regali, non ci sono più le mezze stagioni, moglie e buoi dei paesi tuoi, bla bla bla. Sono pochi, invece, quelli che fanno notare il declino dell’altra istituzione di fine dicembre: Capodanno.
Eh sì, non ci sono più i Capodanni di una volta. Sarà che da bambini il mondo ci sembra più fulgido e colorato, fatto sta che negli ultimi anni mi sembra che Capodanno stia diventando un drammatico peso, e non è più un’occasione per festeggiare quella che l’unica tradizione che l’uomo si è dato da solo. Il Capodanno non ha origini nel rapporto Uomo-Natura come tutte le altre ricorrenze, il Capodanno è semplicemente il primo giorno dell’anno, cioè il primo giorno del calendario, e il calendario lo ha inventato l’uomo, mica esiste in natura. Celebrare il primo giorno dell’anno è secondo me un atto simbolico per onorare la ciclicità del Tempo che scorre.
Beh, in giro non c’è più voglia di festeggiare. E la domanda ansiogena “che si fa a Capodanno?” trova sempre meno risposte. Molti locali rimangono chiusi, quelli che aprono organizzano serate in collaborazione con altri locali e applicano tariffe normalissime, ristoranti semi deserti, ospiti in giro non se ne vedono (nel 2007 sborsai 25 euro per vedere da vicino Sara Tommasi…); a Siena non ci sarà nemmeno il suggestivo concerto in piazza del Campo con il musicista di livello internazionale, i negozi di petardi falliscono e gli scintillanti veglioni costano dai 50 ai 70 euro, cioè come dieci anni fa (elemento positivo per chi ci va, ma elemento negativo in ottica di un’analisi economica).
Aumentano in modo esponenziale i ristoranti che offrono il servizio “cenone da asporto”. Un bel rimedio per scacciare la crisi: festeggi in casa con amici e parenti, senza dover faticare ai fornelli, e stappi lo spumante seguendo il count down su Raiuno, a volte manifestando un sorriso finto, finto come la trasmissione di Carlo Conti e la sua abbronzatura.
Per carità, non ci trovo nulla di male, anzi. Ma a me questa crisi del Capodanno mette un’enorme tristezza addosso. Perché mi ricordo quando ero ragazzino, e vedevo tutto il mondo sorridere ed ostentare la sua ricchezza materiale e immateriale perché a Capodanno – e solo a Capodanno – ogni stravizio era concesso; e potevo rimanere alzato fino all’alba; e bruciavo tutti i soldi dei regali di Natale in Raudi e Magnum. Il Capodanno aveva un che di unico, irripetibile, ineguagliabile. Oggi quella magia non c’è più, ogni occasione è buona per prendere la sbornia, e il 31 dicembre è diventata una serata come le altre, solo un pizzico più costosa. Ma… aspetta un attimo: c’è la crisi, abbiamo perso la magia dei bambini, o forse sto diventando vecchio io?
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