Cercherò di allietare queste ore di grande tensione per i maturandi raccontando quel che avvenne nel lontano 1997, anno della mia maturità. Nei prossimi giorni lo faranno anche alcuni dei nostri redattori (e magari anche i lettori, se lo vorranno), così da esorcizzare ulteriormente la cosa e creare qualche simpatica gag.
In quel caldo inizio d’estate ero un giovane studente liceale cortonese col capello alquanto lungo, tant’è che dalle foto non riuscireste mai a riconoscermi. Eccomi:
A rivederle oggi sembrano foto segnaletiche di un narco-trafficante colombiano anche se, credeteci perchè è vero, non facevo assolutamente uso di droghe, neanche leggere.
Vagavo per le strade della Valdichiana, fra il Route e la Merangola di Castiglione del Lago, su una Renault 5 azzurra fumando John Player Special solo perchè il pacchetto nero-oro era elegante e l’unico reale interesse, oltre alle ragazze, era la musica, con la mia mitologica band “Mens Insana“.
La scuola era poco più di un sottofondo (fastidioso) a giornate allietate dalla voce di Ronnie James Dio, Robert Plant, Ian Gillan, dagli assoli del mio idolo Ritchie Blackmore (sul muro accanto al banco avevo attaccato un suo poster, vicino a Raz Degan e ai Take That piazzati da qualche mia compagna di classe) e dalle nostre hit sconosciute al grande pubblico ma molto amate dalla nostra cerchia di amici. Dopo i Beatles e l’hard rock vivevo infatti una fase molto heavy metal spaziando dai Rainbow a Yngwie Malmsteen, che non mi piaceva neanche tanto ma andava ascoltato per capire cosa si poteva arrivare a fare con una chitarra (il mio strumento), passando per il disco metal più “in” di quell’estate, Visions degli Statovarius.
La moda del momento era però, a parte Nek e gli aretini Oro, il tunz tunz e la techno “commerciale” e/o “Progressive”, ma io quella musica non la sopportavo proprio e quella parola (“progressive”) mi ricordava soltanto il buon rock anni 70 dai King Crimson, Genesis, PFM, Orme in là.
Con moderato impegno ottenni l’ammissione e mi presentai al primo giorno di esami con una certezza: avrei fatto il tema storico perchè io di storia sapevo tutto. Non fu certo piacevole ritrovarsi di fronte al foglio bianco con quella lista delle tracce in cui il tema storico era materialmente infattibile, poichè identico a quello dell’anno prima e quindi incentrato sull’unico argomento (ma proprio l’unico) che non avevo approfondito. Una sòla pazzesca, ma cercai di non perdermi d’animo. Non essendo un secchione da tema di indirizzo (letteratura greca??? perchè, esiste???) mi gettai allora sul tema d’italiano, proponendo un parallelo fra Montale e Leopardi che mi fruttò un mediocre sette meno, un voto per me alquanto deludente.
La seconda giornata fu tragicomica: non ero certo il Re del latino, ma quel Cicerone (o era Seneca? Non ricordo…) mi risultò davvero incomprensibile. E meno male che dovevamo essere contenti che era uscito latino e non greco! Ricordo le due lunghe file di banchi e una mattinata passata a ridere amaramente col mio migliore amico, piazzato dall’altra parte del corridoio. Eravamo tutti e due nel pallone e speravamo in qualche aiuto dall’esterno, che non arrivò mai, anche per l’impossibilità dei prof-membri interni a emanare, quando passavano fra i banchi, dei suggerimenti che fossero udibili all’orecchio umano, o comunque al mio orecchio già danneggiato dalla musica. Quei ciancicati bisbiglii, per me incomprensibili, mi aumentarono solo il nervosismo. Stendiamo un velo pietoso sul voto.
Ecco che restava solo l’orale, dove sapevo che avrei fatto una grande prestazione. Prima di tutto perchè ero conscio di avere doti da improvvisatore, essendo il Re della parlantina e delle arrampicate sugli specchi, poi perchè la mia passione per la storia e il diritto costituzionale mi aveva spinto a realizzare, cosa rarissima allora, una tesina. Il titolo era “Dallo statuto albertino alla costituzione repubblicana“. Mi fruttò un 10 a storia, ben combinato con un pregevole 8 a italiano. La cosa servì a rialzarmi il voto finale, che fu assolutamente in medias res
Ricordo poi la sensazione, mai provata dopo, di avere finalmente capito che avevo FINITO. La testa libera da ogni pensiero, l’essere coscienti di non avere più nulla da fare e più niente di cui preoccuparmi almeno per qualche mese, quella sensazione che non avrei mai più provato, neanche negli anni dell’università. Il rientro a casa, nel primo pomeriggio e quella Kiss of Judas degli Statovarius messa a palla sullo stereo per la gioia del vicinato allettato in quell’ora post-pranzo non li dimenticherò mai, così come non scorderò la lunga, infinita estate che venne subito dopo.
In bocca al lupo a tutti ragazzi…e tranquilli, se ce l’ho fatta io potete farcela anche voi!