In queste ultime settimane si è passati all’azione concreta su un tema che noi tentammo di porre all’attenzione ben 6 anni fa (con questo e altri articoli) e che successivamente è stato più volte rilanciato dalle associazioni di categoria dei ristoratori: il proliferare delle sagre, una crescita esponenziale definita “selvaggia” di cui proprio le associazioni di categoria hanno teso a sottolineare gli effetti nocivi, in particolare per chi ha attività di ristorazione “fissa”, per 12 mesi e 365 giorni all’anno
La volontà di regolamentare il tema ponendo dei paletti, sposata con decisione dal Sindaco di Arezzo Ghinelli (con altrettanto risoluta opposizione delle forze consiliari di centro-sinistra al momento del voto sul nuovo regolamento), ha avuto eco anche in Valdichiana, con un’uscita similare del sindaco castiglionese Mario Agnelli e un annuncio di ConfCommercio riguardante Cortona, secondo cui da un incontro con il Sindaco Basanieri sarebbe uscita la promessa da parte della prima cittadina di intervenire con un regolamento ad hoc
Si attendono, quindi, atti concreti nei nostri Comuni, e il dibattito è aperto.
Essendo stati i primi a evidenziare il problema non possiamo certo non trovarci d’accordo con chi lamenta che il numero di sagre esistenti sia eccessivo (se ne contano 156 in provincia di cui 33 solo a Cortona), come pure che molte di esse durino troppi giorni e/o effettuino una ristorazione “generalista” non legata a un prodotto particolare e spesso slegata anche dalla tipicità e dalla tradizione culinaria locale.
L’ombra della concorrenza sleale è effettivamente esistente e una regolamentazione è necessaria.
La questione, però, è delicata e più complessa di quanto possa sembrare a prima vista e per questo credo utile non generalizzare e anzi mettere all’attenzione di tutti 7 elementi che, nel momento di regolamentare il tema, dovranno essere per forza tenuti presenti per evitare che la questione sia affrontata in modo superficiale, con strumentalizzazioni in ossequio a mode e passioni momentanee o, peggio, decisioni “di imperio” e scelta di criteri che portino pure con sè l’ombra della “politicizzazione”. La regolamentazione, se fatta, va fatta bene e non deve essere “punitiva”, ma utile a tutti
1) C’è sagra e sagra. Ci sono sagre che hanno una lunga tradizione storica, che restano legate a un prodotto tipico, che contribuiscono a valorizzare il nome di un paese o della nostra vallata, fungendo da volano di attrazione turistica. Per questo non “rubano” nulla a nessuno, ma semmai “aggiungono” qualcosa a quello che già c’è. Quelle, quindi, non vanno toccate, ma anzi si può pensare a nuovi strumenti per incentivarle.
2) Le sagre sono generatrici di socialità. Il loro essere ‘conviviali’ contribuisce a unire una comunità, a saldarne i legami e a offrire da un lato occasioni di cooperazione fra persone (chi organizza), dall’altro divertimento e spettacoli a costo zero o quasi per tutti. Che in momenti come questi, dove c’è poco e quel poco si paga, non è male
3) Non è detto che le sagre, sempre e comunque, sotraggano clienti ai ristoranti. Non sempre il grande pubblico delle sagre, che si svolgono in gran parte nelle frazioni, va a incidere sui ristoratori, perlomeno su quelli dei centri storici. Perchè probabilmente, se non ci fosse la sagra, quella gente cenerebbe a casa. Diverso, semmai, il discorso per ristoranti e pizzerie sparsi per il territorio
4) Le sagre sono uno strumento di finanziamento delle associazioni. Esse svolgono, chi più chi meno (alcune, effettivamente, molto poco), ruoli socialmente utili che non si concretizzano solo nella beneficienza, ma nelle attività stesse (sportive, ludiche, culturali, di socializzazione, di integrazione ecc). Senza gli introiti della sagre le associazioni andranno a battere cassa altrove, magari in Comune (dove sarà dura trovare qualche soldo) o presso sponsor e/o istituti bancari solitamente molto munifici, col rischio però che le richieste diventino troppe e che non si riesca più ad accontentare tutti
5) Sempre più sono gli stessi Comuni a proporre iniziative impostate sul cibo, e la stessa cosa fanno sempre di più le associazioni di categoria. Troppo accanimento, quindi, potrebbe risultare un po’ ipocrita, visto che l’offrire da mangiare per attrarre partecipazione è un giochino che, piano piano, stanno sposando tutti, anche gli enti
6) E’ totalmente dimenticato il frangente ambientale. Ad Arezzo si è messo un tetto massimo di giorni, negando anche i permessi a qualcuno, ma non s’è minimamente pensato all’eco-sostenibilità e a quanto le sagre, producendo rifiuti, costano a tutta la collettività. Su quello, invece, si deve lavorare chiedendo uno sforzo verso le eco-feste ed eco-sagre di cui più volte abbiamo scritto
7) Non c’è nessuna richiesta di “trasparenza”: la selezione fra buoni e cattivi, come detto, rischia di essere fatta per impressioni e simpatie personali e/o politiche se non si inseriscono criteri oggettivi di utilità di questa o quella manifestazione. Bisogna quindi spingere le associazioni ad essere sempre più trasparenti e a spiegarci sempre più dove vanno a finire i fondi raccolti: rendere i pubblici i bilanci potrebbe aiutare a dare luce a tutto ciò che c’è di buono, che certamente non è poco