Mentre si chiude il nostro sondaggio sull’intenzione di voto di voi lettori alle primarie del PD, che come sempre ha scatenato un ben vespaio e tanta partecipazione, e si fa un gran discutere del limite d’età del diritto al voto (16 anni o 18?) mi sovviene una riflessione legata proprio a questo elemento, dettaglio in sè molto importante ma di cui finora si è sempre parlato molto poco.
A metà degli anni 70 il voto ai 18enni per la Camera dei Deputati fu una vera e propria conquista generazionale, frutto di anni in cui era evidente l’esistenza di una gioventù italiana che in discreta parte aveva scelto l’interessarsi di politica come uno degli impegni (o passatempi) prioritari e a 18 anni, sentendosi palesemente diversa dalla generazione dei propri genitori e credendo di poter coscientemente dire la sua, non accettava più di restare esclusa dai passaggi decisionali della democrazia.
Il quadro della nostra gioventù di adesso è totalmente diverso, anche se sarebbe sbagliato dire che tutti i giovani vivono nel disinteresse, discorso probabilmente valido per generazioni intermedie fra allora e oggi e ormai passate. Certo, sono cambiate modalità e formule di questo “interessarsi” e di questo “partecipare”, ma non è detto che non esista in buona parte degli under 21 una certa coscienza delle cose e che quindi portare il voto a 16 anni non possa avere senso
Detto questo, precisando che non sono un sostenitore del “largo ai giovani” solo in quanto giovani, guardiamo l’altra faccia della medaglia, che nessuno si è mai fermato a osservare, neanche chi propaganda rottamazione, rivoluzione e/o uno spiccato rinnovamento generazionale
Sto parlando delle età-limite per l’accesso alle cariche pubbliche: 25 anni per diventare deputato, 40 per diventare senatore, 50 per essere eletto Presidente della repubblica. Sono limiti di cui nessuno ha mai pensato una modifica e che di fatto ritardano il termine di ingresso delle nuove generazioni in politica e contribuiscono a invecchiare l’età media dei nostri parlamentari e più in generale di tutta la classe dirigente. Tutto ciò stride oltretutto con altri elementi, ad esempio il fatto che si possa diventare Sindaco a 18 anni (non esiste infatti nessun limite di età), con responsabilità che in questo momento sono probabilmente molto maggiori di quelle di un parlamentare che ha dalla sua il fatto di potersi imboscare senza troppi problemi nel “gruppone” romano, così da essere sicuro di non fare troppi danni