Ricordo ancora il primo giorno a scuola, le mie matite e i pennarelli blu. Recitava così il primo verso della sigla di uno dei più tristi cartoni animati della mia infanzia. Era Il libro cuore, fatto dai giapponesi sullo spunto del libro di De Amicis e ovviamente (com’era tipico per i cartoni made in japan) ridotto con uno stile anticipatore del peggior Muccino in una grande, infinita, colossale tragedia. La tristezza di quella melodia è la perfetta descrizione in music and words di quello che provavo ad ogni inizio di anno scolastico, quel senso di profonda depressione di ogni rientro dopo le vacanze. Una sensazione che ho provato ininterrottamente dal 1984 al 1996. E poi anche quella Fiera di Camucia… il buio alle sette e mezzo… L’estate sta finendo dei Righeira in ogni radio…
In questo, cari studenti che oggi tornate fra i banchi scoprendo che dovrete ricominciare ad avere preoccupazioni diverse da quelle della piscina, dell’amore e del motorino, vi sono vicino. Ma vorrei anche tentare di consolarvi, anche se con un metodo drastico.
Il metodo drastico è dirvi che presto rimpiangerete questi giorni.
Già nel Settembre del 1997, primo “rientro” che non era più affare mio, non ero proprio felicissimo. Ma ancora vivevo la gioia dell’estate e sapevo che fino a metà Ottobre non avrei avuto praticamente nulla da fare, visto che aspettavo di cominciare l’Università.
Dal 1998 in poi è stato tutto ben diverso e sì, davvero, sono arrivato a rimpiangere quei banchi un po’ scassati con le scritte fatte con la cancellina, le cimose polverose (che fa anche rima) e quell’articolato Mondo Cane della Scuola fatto di prof bizzarri, compagne di classe con golf e jeans dalle decorazioni improponibili, bidelli, presidi, campanelle che suonavano.
Finita l’Università, poi, davvero c’è poco da dire: a scuola ci tornerei subito. E quanto mi divertirei, con la testa di adesso…
Una parte della generazione precedente alla mia ha vissuto il Male oscuro delle sicurezze: un lavoro non eccezionale e non confacente del tutto alle aspirazioni, che però erano state sopite dall’ansia (e dal calcolo razionale) del sistemarsi e farsi una vita. Non era del tutto una bella situazione: si aveva l’impressione di aver chiuso le porte alla vita. Trovarsi in un posto e sapere di doverci stare per sempre, con sempre il solito stipendio non eccezionale, per tutta la vita o perlomeno fino a 65 anni generava sensazioni di tranquillità, ma anche di smosciamento, che si curavano spesso con antidepressivi.
Ma non preoccupatevi. Per voi, come per me, il futuro sarà diverso. Peggiore o migliore? Il dibattito è aperto. Quando occuperete un posto di lavoro, peraltro mal pagato, saprete di occuparlo per poco. Ringrazierete anzi il fatto di occuparlo, ma già starete ad elaborare (nel poco tempo libero che avrete) il vostro personale Piano B. Dopo diversi anni passati così sentirete il bisogno di sistemarvi, così come lo ebbero i vostri genitori (o nonni), ma vi renderete conto di non poterlo fare. Non sarete depressi, ma sicuramente vi sentirete logorati.
In questo mondo che vi attende l’unica soluzione, oltre alla forza di volontà e alla fortuna, è l’essere preparati. E l’unico modo per sapere le cose è andare a scuola e studiare. Anche se la scuola certo non è granchè e vi sa parecchio di vecchio. Ma studiate, e magari cercate di capire anche i vostri prof.
Buon anno scolastico a tutti!