Il caso presentato dal Nuovo Corriere, la donna di Castiglion Fiorentino rimasta senza lavoro e senza speranze che si dice disposta a vendere un rene pur di sbarcare il lunario, è solo la punta dell’iceberg di un problema enorme, che tante volte abbiamo cercato di segnalare da queste pagine. La crisi vera, da noi, è arrivata adesso: sono 36mila i disoccupati in provincia di Arezzo, quasi 6mila nei cinque comuni della Valdichiana aretina. A Cortona gli iscritti alle liste di collegamento sono 2.449, a Castiglion Fiorentino 1.397, a Foiano 1.192, a Marciano 340, a Lucignano 263 e il trend è in ascesa, anche perchè chiunque trova un’occupazione non riesce a trovare nulla di sicuro e possibilmente duraturo.
Pur con alcune differenziazioni la crisi fa vittime in modo generalizzato: i giovani, anche quelli con scolarizzazione alta (tant’è che molti di essi scelgono addirittura l’inattività, cioè non studiano e non cercano lavoro), le donne, gli uomini oltre i 40, per i quali la ricollocazione non è certo roba semplice.
Il quadro è drammatico. Il problema principale dell’assenza di lavoro, aldilà della materiale mancanza di soldi che tocca punte di vera indigenza, è la perdita della dignità di chi lo cerca ed è costretto, preso dalla disperazione a prendere quel che viene e ad accettare qualsiasi condizione. E così fra finti stage e atipici contratti di formazione, finti part time, partite iva che mascherano lavoro dipendente, lavoro nero e quant’altro il cane si morde la coda in un vortice che come sabbie mobili tira tutti più giù.
Insomma: ognuno s’arrangia come può, e tutto si imbarbarisce.
Ripartire, in questo momento, significa che per le imprese torni ad esserci il lavoro (e questo è un fattore su cui tanto conta la crisi mondiale e i risvolti europei e nazionali), che il lavoro svolto dalle imprese venga pagato (anche questo, ormai è una mezza chimera) e vi siano capitali spendibili per gli stipendi dei dipendenti, ma anche per gli investimenti senza i quali non si può certo sperare di costruire un futuro.
Ecco quindi il ruolo delle banche, che come ha giustamente sottolineato qualche giorno fa il Presidente di Confindustria Arezzo Fabianelli possono dare il loro contributo per il rilancio sostenendo chi merita e chi ha prospettive di costruire qualcosa di grande.
E poi i Comuni, bloccati dai vincoli di spesa, ma che possono individuare nuove priorità da affiancare a quella irrinunciabile dei servizi sociali, individuando nuove forme di sostegno e “premi” alle imprese e allo spirito imprenditoriale che vi è nel territorio, rifuggendo peraltro da ogni forma di clientelismo.
Crisi, infatti, non significa solo disperazione. C’è anche chi si scervella a inventarsi qualcosa e, magari, riesce ad avere una grande idea, cerca di farsi strada e potrebbe diventare grande. Per questo merita sostegno, ed è forse il momento anche per i nostri amministratori di rivedere impostazioni classiche nel modo di erogare contributi o fungere da “propulsore”.
Forse un po’ meno di contributo al mondo del no-profit (che certo ha una grande utilità sociale, ma non genera lavoro) e un po’ più a quello del profit farebbe comodo. Tanto per fare un esempio ci piacerebbe vedere al fianco delle iniziative che valorizzano il mondo associazionistico giovanile anche qualcosa di simile, ma per il mondo imprenditoriale e per quei ragazzi che “ci stanno provando” e che hanno in mente anche qualcos’altro aldilà dell’organizzazione di un concerto o di un corso di teatro.