Una volta era più semplice. C’erano i Partiti e alla campagna elettorale ci pensavano loro. Tu, dopo aver fatto tutto il percorso di formazione/crescita, un passo alla volta, potevi ambire a ricoprire ruoli sempre più importanti. Era il Partito, a un certo punto, a scegliere te per le posizioni di comando, poichè avevi dato prova di fedeltà alla causa e capacità e ti eri creato intorno un nucleo di sostenitori costruendoti (un po’ da te e un po’ sempre grazie al Partito) un elettorato. Ora è tutto diverso
Non esistono più le carriere fatte per gradi, non esistono più i Partiti di una volta e il voto è liquido, cioè privo delle identificazioni ideologiche che vigevano un tempo. E soprattutto le campagne elettorali ora te le devi fare da solo, coi tuoi soldi
C’è poi un elemento necessario e imprescindibile che comanda su tutto il resto, senza il quale è impossibile fare qualsiasi cosa e aspirare a qualcosa: la popolarità
E’ proprio la popolarità (che porta il consenso, cioè il voto di preferenza) a governare la politica, così tanto da annullare la politica stessa
L’ultima conferma di questo cambiamento la stiamo avendo in questa campagna elettorale. Assistiamo in questi ultimi giorni prima delle Regionali Toscane e delle Comunali Aretine all’ultimo stadio degenerativo di un sistema di selezione delle classi dirigenti che alla politica e ai contenuti ha sostituito la popolarità personale e ai partiti di una volta gruppi di persone che lavorano ognuno per sè e hanno solo bisogno di un contenitore che giustifichi la loro presenza
Ed ecco quindi stuoli di candidati che rincorrono il consenso, che come detto prima è l’unico elemento che serve per aspirare a qualsiasi risultato, gestendo la loro popolarità (se già ce l’hanno) o cercando di conquistarsela. Agli stuoli di candidati, che si danno un gran da fare con santini, brochures, promozioni Facebookiane, manifesti, video, volantini, cene elettorali, iniziative e genialate di ogni tipo, fanno da spalla ugualmente numerosi stuoli di “addetti ai lavori”, “manager” più o meno capaci che si ingrassano spillando soldi per provvedere a tutto quel che serve: un sito, le pagine social costantemente aggiornate, le campagne promozionali, gli eventi.
Il fil rouge che lega tutti è uno: la ricerca della popolarità e del consenso attraverso l’assenza di contenuto reale. All’insegna del disimpegno, della personalizzazione, della sostituzione di uno slogan o due a ogni tipo di ragionamento che richieda l’utilizzo di almeno una minima parte delle funzioni intellettive. E così, a cavallo fra pubblicità e sagra paesana, si va avanti fino all’ultimo momento possibile sperando che arrivi il tanto agognato consenso
In questi giorni siamo invasi, sepolti, sotterrati di richieste di voto che ci arrivano da ovunque. Il problema è che, proprio a causa del fatto che tutti usano gli stessi metodi (tutti si affidano a presunti “professionisti” della comunicazione e soprattutto tutti si muovono escludendo a priori ogni tipo di contenuto) alla fine sembrano tutti uguali: mandrie di cercatori di voti che per farsi eleggere recitano ognuno la loro parte con un copione che, anche se con qualche differenziazione, nella sostanza è sempre più simile
Il problema che non viene colto in questo nuovo “sistema” è che, con queste metodologie invasive e soprattutto da replicanti, il risultato naturale è creare una progressiva disaffezione/disgusto negli elettori, tant’è che la gente va sempre meno a votare e a furia di ricevere richieste di voto si crea una sorta di corazza difensiva che la rende impermeabile a tutti gli stimoli. E così i cosiddetti politici non hanno più niente di politico e, nel contempo, gli elettori non sono nemmeno più elettori
Ma questo, probabilmente, non è un problema per gli stuoli di candidati tanto affaccendati in questo giorni. E poi è un discorso troppo serio per giornate come queste.
Magari ci penseremo dopo. Ora, intanto, l’unica cosa che conta è farsi eleggere