Prendersela con lui a questo punto non ha senso. Non ha senso nemmeno fare ironia, visto che la giornata di ieri è vissuta principalmente all’insegna di questo. Il divo Giulio ci ha lasciato e l’Italia ha perso uno dei più importanti pezzi del suo grigiore. Un grigiore che è la storia stessa dell’Italia, paese retto per decenni sul sistema di potere democristiano di cui Andreotti è stato uno degli interpreti più importanti. Anzi, dalla morte di Moro in poi l’Interprete con la I maiuscola. Un grigiore che è la più degna espressione degli italiani stessi, o perlomeno l’elemento necessario per ben governarli
E’ un caso, ma Belzebù (così lo definì Craxi) se ne è andato quasi lo stesso giorno di Moro. Qualcuno l’ha fatto notare: 6 Maggio Andreotti, 9 Maggio Moro. Quel Moro che ne Il Divo, il capolavoro di Sorrentino, ancora tormentava Giulio negli incubi notturni.
E’ pure un caso che Andreotti si sia spento subito dopo aver avuto l’assicurazione che l’Italia è ancora un paese democristiano e che l’inciucione del governo Letta garantirà ancora una volta la conservazione dello status quo. Anche il PD, come s’è visto con la carica dei 101, aspira a diventare democristiano e ha quasi raggiunto il suo obbiettivo. Giulio sarà sicuramente stato contento di fronte a queste good news, orgoglioso di quest’Italia che con una manovra di palazzo è riuscita a restare fedele ancora una volta a sè stessa, e lo voglio immaginare felice nel momento del trapasso
L’unica differenza fra allora, gli anni di Giulio, e ora, gli anni degli inciuci 2.0, è il risultato finale. Cinquant’anni di democristiani hanno trasformato un paese di mezzadri in un paese di proprietari terrieri e di case. I vent’anni successivi ci hanno riportati alla mezzadria. Mentale, economica, culturale. Ecco perchè, ora più di prima, urlare con disperata auto-ironia “aridatece il puzzone” è pienamente lecito
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