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“Finito il culturale, principia il sociale”. In piazza oggi ad Arezzo il mondo della cultura. “No ai tagli” e accorati appelli a salvare questo grande patrimonio del nostro paese, in molti casi arrivato alla canna del gas e a rischio ridimensionamento. In effetti i colpi sono pesanti, si rischiano ricadute tragiche sul fronte occupazionale e ai tagli del governo si uniscono quelli degli enti-locali, in totale emergenza, che tendono a privilegiare altri comparti (ad es. quello sociale, e qui si spiega la mia citazione-modificata da Berlinguer ti voglio bene).
Brutto tagliare sulla cultura, che è quello per cui l’Italia si è sempre distinta. Senza cultura non c’è futuro, c’è solo una deprimente desertificazione mentale. Verissimo. Ok, siamo d’accordo.
Il rischio-demagogia è però dietro l’angolo. Su due fronti.
Chi fa opposizione in questo momento nel nostro paese tende infatti ad associarsi ad ogni protesta anti-governativa scandendo frasi alquanto generiche come ‘il comparto X (sia esso cultura, sanità, energie rinnovabili, scuola, trasporti ecc ecc) è una nostra priorità” oppure ‘ci opponiamo ai tagli al comparto X‘ scendendo in piazza un po’ con chiunque ce l’abbia col Governo. In politica tutto questo è lecito e normale, ma poi risulta difficile immaginare come, una volta tornati al Governo, si potranno rispettare le promesse fatte.
L’altra demagogia è quella degli enti-locali: proprio quelle forze politiche che se la prendono col Governo si trovano costrette tramite i loro rappresentanti istituzionali locali ad operare purghe di dimensioni bibliche. Tagliano anche loro, quindi, e qualcuno ha pure la sfacciataggine di rivendere mediaticamente queste decisioni affermando di preferire alla cultura altri settori (proprio il famigerato ‘sociale‘ di cui parlavo prima).
Tolta la demagogia, veniamo alle possibili soluzioni.
Il problema principale, secondo me, è quello che in tutti questi decenni il mondo culturale italiano pur crescendo e brillando (anche se non son tutte rose e fiori) non è mai riuscito a diventare indipendente dalle sovvenzioni statali e/o regionali, provinciali e comunali. Una dipendenza certo non facile da scrollarsi di dosso, ma che in momenti come questi, nei quali non si può più spendere senza un ritorno diventa quasi fatale.
Le vie d’uscita? Non ho titolo per dare ricette, ma con una micro-sviolinata mi limito a citare la Valdichiana, dalla quale stanno partendo dei piccoli (ma neanche tanto) esempi positivi e il comparto, nonostante tutto, mi sembra che regga. Ad esempio la mostra del Louvre, frutto di una rete di collaborazioni che parte dall’associazionismo, si interseca con gli enti locali e trova appoggio in enti, banche, aziende del territorio.
Insomma: se c’è un’idea buona, un lavoro ben fatto, uno sforzo congiunto e ben coordinato le cose spesso restano in piedi anche in momenti da incubo come questi.
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