Stato di agitazione ad Arezzo, col Comune che annuncia un taglio di 1 milione e 700 mila euro di spese per il personale e i dipendenti protagonisti di una rovente assemblea. I tagli dovrebbero andare ad incidere soprattutto sui premi produttività, ma c’è da capire in quale forma e con quali proporzioni, specie nella distribuzione dei tagli. Intanto il Sindacato, che ha calcolato intorno ai 1000 euro la possibile perdita annua per ogni lavoratore, ha chiesto di individuare vie alternative per risolvere l’origine del problema, ovvero il superamento della soglia imposta del 40% di spesa corrente proprio per i costi del personale. In queste ore si susseguono gli incontri, ma in attesa di nuovi sviluppi qualche riflessione va fatta, anche perchè il caso potrebbe ripresentarsi prima o poi altrove.
Precisando che il guaio scaturisce da vincoli palesemente eccessivi imposti ai Comuni, la cui revisione rappresenterebbe una vera (e giusta) manna dal cielo cerchiamo di ragionare su quello che deve essere l’obbiettivo primario di un Comune.
Con la sua struttura amministrativa esso deve essenzialmente funzionare bene e essere di aiuto al cittadino e alla vita sociale ed economica di una comunità. Per questo serve un’organizzazione efficace e dipendenti capaci.
I dipendenti, che è certo molto qualunquistico definire dei privilegiati, ma che comunque non sono una delle categorie messe peggio nell’attuale mondo del lavoro, devono essere messi nelle condizioni di poter svolgere al meglio il loro compito, farlo bene e soprattutto vedere riconosciuta e premiata la loro capacità.
Ciò avviene di rado e da questo punto di vista tagliare i premi-produttività rischia di peggiorare ulteriormente le cose, togliendo uno stimolo a fare bene. Poco conta se i premi produttività sono nella prassi una specie di surplus distribuito a pioggia per non scontentare nessuno: è sbagliata la logica distributiva, non il concetto del premio-produttività.
C’è poi il discorso riguardante l’eccessivo numero dei dirigenti, che costano troppo e sono troppi. In realtà la presenza dei dirigenti non sarebbe un male, perchè essi sarebbero molto utili se davvero si assumessero le loro responsabilità, sia nelle scelte di fondo che nella gestione delle risorse umane a loro disposizione.
Ciò purtroppo avviene raramente.
Più che tagliare i premi produttività sarebbe bello poter tagliare i rami secchi. La legge da questo punto di vista concede pochi spiragli e forse è pure giusto, visto che qualcuno non è ancora riuscito a uscire dalla logica delle assunzioni politiche e delle persecuzioni (sempre politiche) e piuttosto che scegliere in base al merito utilizza altri criteri.
Da questo punto di vista serve uno stacco culturale, che non significa licenziamento libero, ma possibilità di far lavorare chi merita e mandare a casa chi non lo merita, poter assumere gente nuova volonterosa in luogo di chi oltre ogni limite abusa dei (giusti) diritti a lui concessi, non dover più ricorrere alla scappatoia degli incarichi esterni per sopperire alle mancanze interne di “squadre” comunali troppo deboli e inadeguate.
Ci sarà tutto questo nel piatto della bilancia dell’Italia del futuro?
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mi sembrano riflessioni ragionevoli ma, visto il delicato momento, non sarebbe male (ri)dare valore alla parola "dovere". Io, lavoratore privato, lib professionista, artigiano, ecc se non svolgo il mio lavoro con scienza e coscienza vengo punito immediatamente dai miei clienti, che si rivolgeranno altrove. Il dipendente pubblico, assunto per svolgere un incarico ben preciso, non può sempre pensare di essere premiato se fa il suo dovere. Non è giusto nei confronti dei volenterosi che il loro dovere lo fanno a prescindere; bisogna sollecitare un cambiamento culturale ed etico...se non ora quando?