Com’è andato il Ferragosto? Il termometro social ci parla di qualcuno in vacanza, con rigorosa foto così che ogni dubbio degli amici sia fugato, ma i più rimasti in zona e divisi fra piscine, terme, gite fuori porta, bisteccate improvvisate un po’ ovunque e alla sera, ovviamente, qualche sagra tanto per rinsoprellare il già lauto pranzo. Siccome sono snob io invece dopo un pasto assolutamente normale ho scelto l’arte: se a Cortona c’era acceso il braciere dei record (probabile il superamento della soglia delle 4mila bistecche in 3 giorni!) io, accompagnato dalla miglior Cicerona al mondo, sono andato nella tanto bistrattata Arezzo a vedermi per bene “Icastica”. Andava rivista meglio, più nel dettaglio, perchè si sa, “ci vuole un giudizio rotondo e completo” (cit. Lo Stato Sociale)… e noi s’è fatto.
E allora siamo stati un po’ in tutte le location, comprese le tanto chiacchierate bare di Yoko Ono che ancora insiste sul concetto di Nutopia (Nutopian International Anthem era un brano, fatto di 5 secondi di silenzio, inserito nel disco “Mind Games” di John Lennon) e devo dire che c’è stato da divertirsi. In certi momenti pareva quasi di stare alla Biennale d’Arte contemporanea di Venezia, con tutti gli annessi e connessi (l’Alberto Sordi con moglie de “Le vacanze intelligenti“), ma ad uno sguardo meno disilluso, freddo e volutamente nazional-popolare-ignorantello la mostra risulta anche emozionante nella sua forza spesso estrema (andate alla ex-Bastanzetti, ora Urban Center, e guardate il video…)
L’osservazione più attenta della mostra ha quindi confermato l’impressione iniziale: Icastica è una botta di modernità in una città che, un po’ come tutta la Toscana, è ferma come abitudine estetica al ‘500 (quando eravamo i n.1 indiscussi) e come cultura agli anni ’60 del ‘900 (quando eravamo un po’ ignorantelli, ma ogni giorno s’era più ricchi). Icastica è un’esposizione che starebbe bene a Berlino, o a Londra, o a New York e infatti raccoglie principalmente turismo (di nicchia) estero. In questo senso, quindi, centra un obiettivo importante e garantisce alla città un flusso magari non ingentissimo, ma costante, che ha reso un po’ meno tetro il Ferragosto di Arezzo, luogo che proprio in quanto città vive più delle realtà di paese l’esodo di massa. Per il resto, cerca di smuovere qualcosa. Ci riesce? Ho dei dubbi. Forse ci riuscirà se eventi di questo tipo diventeranno una consuetudine qualificando Arezzo come sede tradizionale di arte contemporanea di livello mondiale
Il limite, come peraltro avevo già notato, è che nel portare l’arte contemporanea al grande pubblico utilizzando con intelligenza spazi inediti e “minori” della città non si è pensato a usare dei “tramiti” giusti. Insomma: sarebbe bastato un pannello a sala con una qualche spiegazione in più per agevolare i non esperti e instradarli da un mondo fatto di Botticelli e bistecche all’arte A.D. 2013. Chissà, forse gli aretini l’avrebbero presa meno peggio.
In chiusura, una considerazione. Ogni volta che uno fa qualcosa, specie se fa qualcosa di strano, banale e non convenzionale, attira delle critiche. E c’è sempre qualcuno che scrive “qui ci meritiamo altro“. Sarebbe bello una volta tanto capire cosa dovrebbe essere questo “altro“. In fondo, di Sagre ce n’è tante e la socialità elementare è ampiamente soddisfatta lungo tutto l’anno da eserciti di volontari al servizio della comunità di paese e delle tradizioni, con un dispiego di energie fisiche, mentali e materiali enorme per l’immancabile e immortale formula pappate e liscio. Se ogni tanto si tenta qualcosa di diverso…beh …è anche una boccata di ossigeno per quei pochi che la pensano un po’ diversamente. Se poi su queste pagine io esalto tali momenti “diversi” non datemi del ruffiano… è che semplicemente sono snob!
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