Fa sempre piacere essere svegliato il sabato mattina dalla fidanzata (ops, volevo dire “compagna”…dopo i 30 anni pare sia doveroso usare questo termine!) che ti sbandiera un ritaglio di Paese Sera del 23 Maggio 1978 (il giorno in cui sono nato) e ti dice: “Guarda quanti cavolo di film c’erano al cinema…ed era martedì!“. Mentre mi giro frastornato fra le coperte, ancora inebetito dai postumi della febbre, la signorina mi legge la programmazione dei cinema romani in quella data così fausta per la famiglia Lupetti/Scaramucci. Lista che potete leggere nella foto qui a fianco.
Quello che stupisce è la straordinaria varietà della programmazione. C’era veramente DI TUTTO
Ripenso allora alla questione del rischio chiusura del cinema Eden di Arezzo, immagino la deprimente programmazione aretina che potrò leggere aprendo i giornali locali e immagino anche di leggere la lista dei film a Roma in una serata come questa di stasera. Un’infinità di multisala, tutti con gli stessi film, e un po’ di cinemetti d’essais, sorta di “riserve indiane” in cui il pubblico non massificato si riunisce, un po’ come i Cristiani ai tempi delle catacombe, o i Carbonari nell’era risorgimentale.
Ripenso poi all’ARCI aretina e all’appello per la costituzione di un cinema “pubblico” che preservi così la sopravvivenza di un concetto di cinema diverso. Una “riserva indiana” proprio ad Arezzo, dove questa manca… o meglio c’è, ma è l’Eden, cioè quello che (pare) rischia di chiudere.
Ma siamo sicuri che conviene?
Allontanando il discorso dai piccoli cinema di paese (tema totalmente differente) parliamo di essais nelle città più grandi. Piuttosto che mandare i Comuni in rimessa pur di preservare determinati spazi per un cinema diverso, io credo che sia più sensato intervenire da più in alto fissando qualche regola nazionale per i multisala, ovvero i mega-cinemoni che, pur rilanciando il cinema come abitudine di massa, hanno massificato definitivamente il gusto imponendo ogni settimana 5 o 6 film e togliendo ogni residua speranza di visibilità ai film minori.
In una logica (giusta o sbagliata?) che tenda a considerare l’arte, cinema compreso, non come una semplice merce da libero mercato, ma come parte del nostro patrimonio culturale, avrebbe quindi senso porre dei limiti e delle regole. Ad esempio un tot di film italiani sempre e comunque (è nazionalismo?) oppure un numero di sale minime garantite per le piccole produzioni, oppure ancora la proiezione di grandi classici, cosa che peraltro inizia a riscuotere un buon successo e forse ambisce a diventare moda (speriamo!)
Proseguire nel creare “riserve indiane” pubbliche da contrapporre ai multisala ha secondo me poco senso anche perchè mantiene o addirittura aumenta la distanza fra cinefili e spettatori di cinema di massa, alza nuovi steccati fra nicchia e popolo, creando più barriere di diversità e divergenza che punti di incontro. Meglio provare a cambiare i multisala, quindi spingendo sul melting pot frapubblici, proposte e gusti diversi
In attesa di vostre considerazioni io e la mia signorina ci appropinquiamo comunque verso Perugia, in una di quelle citate “riserve indiane”, per vedere ciò che risulta invisibile altrove. Con infinito piacere ci sentiremo come nel nostro amatissimo 1975, avremo attorno giovani in eskimo con lunghe barbe, baschi e capelli incolti, discorreremo forse del compromesso storico e dell’ultimo gol di Paolo Sollier con la maglia del Grifo. Non mancherà l’accenno alla Rivoluzione di Garofani. Ma intanto fuori sarà il 2012, e di questo gran bel cinemino e delle nostre fissazioni retrò non importerà nulla a nessuno
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Mi trovi d'accordo, non foss'altro perché nelle suddette riserve selezionano sempre delle palle mostruose per giustificare il film "colto" e per ampliare il divario con i seguaci delle "Vacanze di Natale"!