Qualche mese fa in campagna elettorale un candidato a Sindaco di Cortona ideò il concetto di “Brand Cortona” o “Marchio Cortona”, novità da applicare prima di tutto alla valorizzazione della nostra produzione agricola. Ben presto scopiazzato dagli altri contendenti il concetto si disperse, anche a causa dell’azione di ‘riciclaggio‘ molto elettorale, in rivoli fumosi e slogan talmente melliflui da allontanare la possibilità di un’applicazione pratica.
Credo utile, in tempi di crisi economica e occupazionale come questi, che si possa invece tornare su questo concetto ripartendo dall’originale intuizione. Ulteriori ragionamenti su un “marchio Valdichiana” sentiti recentemente, specie sul versante di Castiglion Fiorentino, contribuiscono a riportare l’attenzione sul tema e rendono ancor più necessario un esame attento
Cosa deve significare, secondo voi, “brand Cortona/Valdichiana”? Quali azioni si devono compiere per “valorizzare” i nostri prodotti agricoli? Che significato pratico deve assumere il tanto utilizzato concetto di “filiera corta” e “km zero“? Come tradurre le chiacchiere in fatti? Che direzione seguire, prima di tutto?
Aldilà delle possibilità di legge, non particolarmente larghe (si ricordi le vicende della De.Co., la “denominazione comunale” ben presto abortita) la priorità da imporre, a mio avviso, sono due.
La prima è quella di non creare un’entità vuota e inutile tanto per dire di aver fatto qualcosa, un adesivo o un simbolino come già se ne sono visti, qualcosa che sparisca nel giro di qualche mese senza cambiare nulla e con l’unico effetto benefico di far racimolare qualche soldo a un bravo grafico o arraffare alla meglio qualche bando europeo
La seconda, che secondo me molti non colgono, è che la ricaduta positiva della costituzione di un marchio o di una qualche forma di tutela delle produzioni locali dovrà andare nell’interesse e nel guadagno economico di tutti coloro che abitano il nostro territorio e non solo di chi, fra essi, produce.
La differenza è sottile, ma va necessariamente colta. Bisognerebbe portare sui banchi dei nostri supermercati produzioni locali marchiate, tutelate e sicure che costino almeno quanto le altre non locali, se non addirittura di meno. Chiediamoci quindi prima di tutto se ciò sarebbe possibile. Forse, grazie ai risparmi del “km zero” e alla possibilità di costituire una rete di soggetti locali che lavorino insieme allo scopo di contenere i costi, ci si potrebbe arrivare.
Il “brand”, quindi, deve secondo me servire prima di tutto a rilanciare i consumi locali e rendere i nostri prodotti preferibili a quelli esterni per motivi legati alla qualità, ma anche alla convenienza economica. Marchiare e mettere in rete deve significare anche un risparmio e una dimunuzione dei prezzi al consumo, non una sorta di autorizzazione implicita ad alzarli con la scusa della qualità.
Fare un brand a uso e consumo di chi compra da fuori o del turista curioso, a costi molto più alti, servirebbe molto a poco e porterebbe benefici esclusivamente temporanei (e meramente speculativi) a qualche produttore più capace a vendere in realtà esterne, allontanando invece ancora di più le produzioni locali da chi, nel locale, vive
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