{rokbox title=| :: |}images/minoligiovanni.jpg{/rokbox}In tutto il gran baillame inscenato in seguito alla morte del Presidente Cossiga c’è stato un momento televisivo (solo quello) davvero interessante, avulso dalla retorica e dalla ricostruzione benevoleggiante, quando la Rai ha deciso di riproporre l’intervista ‘faccia a faccia’ fatta al Presidente da Giovanni Minoli, credo del 1992 o giù di lì, in una puntata di ‘Mixer’. Era il Cossiga ‘picconatore’, con i primi accenti pittoreschi che si affacciavano in questo personaggio fino a quel momento piuttosto in linea col classico stile ‘ingessato’ alla Democristiana.
La cosa più sorprendente per i miei occhi abituati alla tv e al giornalismo anni 2010 (impressione confermata anche da altri) non è stata tanto lo stile del Presidente, sopra le righe ma mai in modo spicciolo come ormai accade quotidiniamente, ma quello del giornalista Giovanni Minoli. Di colpo mi sono ricordato degli anni della mia adolescenza, ovvero quando ancora c’erano i giornalisti. E pensare che a quei tempi Minoli, di simpatie (forse qualcosa più di semplici simpatie…) socialiste non era considerato il pezzo migliore della Rai. In effetti c’era gente come Zavoli, Biagi, Frajese, e c’era pure Vespa prima della degenerazione portaportiana.
Io credo che l’intervista di Minoli a Cossiga, come pure tante altre tratte da ‘Mixer’ e rintracciabili su Youtube (a Craxi, a Berlinguer…) andrebbe mostrata a tanti giornalisti dei tempi d’oggi, più o meno affermati, come pure a tanti novellini del mestiere e scalpitanti studenti di scienze della comunicazione. Servirebbe a imparare la regola secondo cui non si va a fare un’intervista per servire l’intervistato trasformandosi in una specie di agenzia pubblicitaria, ma ci si va con l’obbiettivo di informare e, se possibile, di tirar fuori qualcosa di nuovo e inatteso. Anche con domande bastarde, a ritmo serrato, senza troppi arzigogoli verbali e tappeti rossi, ma sempre attaccando avendo i numeri per attaccare, poggiando sulla preparazione, l’intelligenza, lo stile, il rispetto.
Certe interviste se le dovrebbero vedere anche i ‘potenti’ o meno potenti di turno, a tutti i livelli, che dovrebbero sforzare di ricordarsi che i giornalisti non sono al servizio di chi comanda, a parte quando sono pagati (ma in quel caso fanno un altro mestiere). Cossiga, e insieme a lui Andreotti, Moro, Fanfani, un pregio almeno lo avevano: rispettavano i giornalisti, sapevano che erano lì per domandare e disturbare, ma stavano al gioco e avevano la forza di saper rispondere come si doveva rispondere neutralizzando il possibile ‘pericolo’ di una stampa ancora viva. Viene da dire: bei tempi
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