Ne abbiamo parlato tanto, perchè il ritorno in patria di Arezzo Wave poteva essere uno degli eventi più significativi di questo 2012 e non volevamo lasciarcelo scappare. Abbiamo pure sguinzagliato l’inviata Cecilia, nel tentativo crediamo riuscito di raccontarvelo “da dentro” e, come è nel nostro stile, in modo originale, senza fotocopie inutili, smancerie e enfatiche marchette e con la giusta dose di ironia. Bene che Arezzo Wave sia tornato a casa, benone, perchè il nostro territorio riconquista una sigla importante: nei miei articoli l’ho scritto più volte e ne resto convinto, ma devo ammettere che questa edizione del rientro non mi ha entusiasmato più di tanto.
Si discute sui numeri (tanto che ci siamo diciamo anche i nostri, certamente più contenuti delle benevoli sparate lette in giro in questi giorni: 4/5mila la prima sera, 2/3mila la seconda, 3/4mila la terza, 4/5mila la quarta), ma in fondo chissenefrega, si sa che la nostra è terra poco incline a certi eventi e i ggiovani d’oggi adorano assomigliare ai loro bisnonni e alla novità di quattro giorni “diversi” preferiscono la replica di atteggiamenti e esperienze tipiche di tutto l’anno…e poi il biglietto costava 12 euro (troppi) e la crisi si sa che c’è, e c’era la concomitanza con Umbria Jazz che ha portato via tanta gente.
Quello che conta è il livello di portata artistica dell’evento: cosa ha significato davvero.
Palchi “alternativi”, incontri e mostre colleterali da questo punto di vista non sono andati male, anzi. Ma la musica?
L’impressione strisciante, sin dalla prima sera, amplificata dai piacevoli pomeriggi allo Psycho Stage, è che l’Arezzo Wave del ritorno sia stata un’edizione troppo prudente, e ancorata al passato. Tanto da sembrare più che altro un festival per nostalgici. Sul piano dell’offerta musicale spesso l’aria che si respirava era più o meno quella del 2004 e dintorni, quando i No Global erano una fetta importante del mondo giovanile (perchè erano diventati una moda) e certi artisti in voga, alcuni dei quali sono saliti sul palco di questa edizione, erano nel fulgore della loro fama. Otto anni dopo puzza di deja-vu. Anche il pubblico è lo stesso, forse uscito dalla naftalina. Fortunatamente adesso ha 30 o 35 anni, non ha più il cane o preferisce lasciarlo a casa, calza le terrificanti Birkenstock per comodità, fuma meno canne e si limita anche nelle birre, in testa (se uomo) ha molti meno capelli. Solo gli indumenti sono rimasti gli stessi, insieme al modo meramente epidermico di intendere la musica. Basta un dozzinale ritmino mezzo reggae e tutti ballano felici e contenti. E vabè Lupetti, non pretenderai che ballino con il tuo adorato Stockhausen…
L’Operazione nostalgia stona con lo spirito storico di Arezzo Wave che invece era innovazione e rischio. Rischio spesso premiato dalla sorte, con artisti poco noto che poi, anche grazie al palco aretino, facevano il botto, contribuendo a creare il mito di Mauro Valenti.
Ma anche Valenti come un qualsiasi Mick Jagger, ormai ha la sua età, e non ha voluto (o potuto) rischiare di nuovo. Ne è venuta fuori un’edizione un po’ moscia e come detto prudente e tanto nostalgica. Diciamo pure da conservatori. Vedremo se l’anno prossimo si sterzerà nella direzione opposta.
Unica grande perla, anch’essa però nostalgica, il concerto di Giovanni Lindo Ferretti. Eravamo in pochi lì a Ponte Buriano alle 7 di mattina, ma è stato davvero un momento da brividi e lo stesso Valenti, conscio della cosa, vagava sotto al palco con un sorriso a 32 denti.
Per il resto qualche nome nuovo interessante da verificare e la disgustosa ciliegina finale della Bandabardò, di cui evito di parlare per non risultare acido, anche perchè so una cosa: se andrò all’inferno a scontare la pena del contrappasso ci troverò come colonna sonora proprio loro, 24h, magari con Ligabue special guest.
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