Ogni tanto ci si ricorda che c’è gente che muore sul lavoro e che c’è chi lavora davvero per quattro soldi: è l’unico commento aggiuntivo possibile a tutto quanto già è stato detto riguardo alla tragedia di Francesco Pinna, morto mentre lavorava per montare il palco del nostro Lorenzo Cherubini alias Jovanotti. Pare, a quanto si legge in giro, che il 20enne, studente lavoratore, fosse lì per appena 5 euro all’ora. Una cosa che, se fosse vera, non sarebbe in sè tanto stupefacente visto che ormai in Italia lavorare per queste cifre è una tragica normalità. Del pianto commemorativo del cantante su Facebook e Twitter avete già letto, e davvero c’è poco da aggiungere se non associarsi a quei 40mila mi piace e a quelle 5mila condivisioni di status raccolti in neanche due ore dalla pubblicazione.
Il tragico accadimento ha creato grande cordoglio e attenzione perchè ha coinvolto un giovanissimo che faceva un lavoro al servizio di una star. Proprio per questo se ne è parlato e se ne parlerà tanto, cosa che altrimenti non sarebbe successa se un qualsiasi Francesco di 20 anni fosse morto in un anonimo cantiere per tirar su qualche palazzaccio in una qualche periferia milanese o romana.
Ma roba così, purtroppo, accade quasi tutti i giorni
Speriamo almeno che tutto il baillame di queste ore sia l’occasione buona per portare di nuovo (e stavolta con risultati concreti) all’attenzione dell’opinione pubblica il tema della sicurezza sul lavoro e delle morti bianche, ma anche quello di una più generale necessaria ridefinizione delle regole del mercato del lavoro. Prescindendo dal caso specifico, sul quale prima di sindacare sarebbe opportuno avere notizie certe, è oramai lampante come cercare e trovare lavoro in Italia sia una lotteria, con in palio un premio comunque magro e (per certi tipi di occupazione) neanche privo di insidie.
Senza dimenticare che c’è anche chi lavora per meno di 5 euro all’ora, se non addirittura a gratis in quelli che vengono chiamati stage formativi
n.b. foto tratta da “Il piccolo”
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quando si muore per lavorare, invece di lavorare per vivere, poco importa se si lavora in un anonimo posto di lavoro o in un'opera di interesse pubblico, o nello stage di una star, poco importa se questa star è jovanotti o chiunque altro cavalchi l'onda del successo anche fosse meritato. Ma una domanda mi pongo: A fronte di tante iniziative, dichiarazioni e impegno a sostegno delle sciaugure che colpiscono la nostra società in varie forme, questi personaggi pubblici che vivono comunque in una condizione di privilegio rispetto alla massa che li mantiene, quanto s'interessano, nel momento in cui stipulano un contratto o un accordo con agenzie, organizzatori, impresari, di come il servizio che gli viene reso sia rispettoso delle normative, della dignità, dei contratti di lavoro, di chi effettimanete realizza quello di cui necessitano? Non voglio colpevolizzare il caso specifico, ma c'è tanta disparità tra chi stà davanti alle telecamere e chi lavora dietro. Mi torna in mente il periodo in cui il Valentino nazionale firmava il rinnovo milioario con la Yamaha e la Yamaha chiudeva gli stabilimenti in Italia mandando a casa centinaia di lavoratori quei lavoartori che la domenica magari facevano il tifo per lui...
Sono Carlo Soricelli dell'Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro, proprio ieri l'Osservatorio ha diffuso i dati raccolti. E la situazione è veramente drammatica. Qui sotto il comunicati. Cordiali saluti
Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro
Attivo dall’1 gennaio 2008 in ricordo dei sette lavoratori della Thyssenkrupp
e di tutti i lavoratori morti sul lavoro
COMUNICATO STAMPA del 12/12/2011
Superati anche i morti dell’intero 2008
Oggi 12 dicembre 2011 con 638 morti sui luoghi di lavoro e 1110 (stima minima) se si sommano i lavoratori morti in itinere e sulle strade, registriamo + 7,4% sull’intero 2010, alla fine dell’anno arriveremo ad un aumento di oltre 10%, e su un dato certo, quello dei morti sui luoghi di lavoro rilevati e archiviati giornalmente dall’Osservatorio dall’1 gennaio 2008. Alla fine dell’anno si stimano complessivamente oltre 1160 morti contro i 1080 del 2010. Un andamento veramente sconsolante, anche rispetto al pessimo 2010 dove a fine anno registrammo +5,5 rispetto al 2009. Si torna così indietro di 4 anni in quest’autentica emergenza sociale: il 20 novembre sono stati superati i morti sui luoghi di lavoro dell’intero 2010, il 2 novembre quelli dell’intero 2009.
In questo momento 12 regioni hanno già eguagliato o superato, alcune con percentuali superiori al 100%, i morti sui luoghi di lavoro dell’intero 2010. Le altre regioni stanno avendo un calo molto contenuto rispetto ad un pessimo 2010. Su queste tragedie non è possibile nessuna distinzione tra amministrazioni di Centro-Destra o di Centro-Sinistra. Dai dati raccolti dall’Osservatorio emerge in modo molto evidente che il calo sulle morti sul lavoro che le statistiche ufficiali registrano (ma non l’Osservatorio) è dovuto soprattutto al calo delle morti nell’itinere e dei lavoratori che lavorano sulle strade e questo senza merito di alcuno ma solo ai mezzi di trasporto tecnologicamente più sicuri. Per fortuna anche i lavoratori acquistano automobili più sicure una volta rottamate le vecchie: quando le statistiche ufficiali parlano di calo occorre pensare soprattutto a quest’aspetto.
E questo cosa significa? Che nessuna Istituzione nazionale o locale si è occupata in modo continuativo e articolato delle morti sul lavoro che portano il lutto in tantissime famiglie. Solo la presenza del Sindacato in un luogo di lavoro sembra produrre effetti positivi sugli infortuni sul lavoro.
Il tanto vituperato sud ha complessivamente un andamento migliore del centro-nord. E non si parli di “indice occupazionale” per giustificare la differenza tra le regioni. “L’indice occupazionale” è una “balla” da spendere verso l’opinione pubblica per giustificare un cattivo andamento locale su questo fronte. Regioni del centro-nord considerate civilissime sotto molti altri aspetti, compresa quella dell’Osservatorio, con amministrazioni di destra o di sinistra, hanno un numero incredibile di morti sul lavoro, non nelle Fabbriche come si è portati a credere, ma in agricoltura, in edilizia e nei servizi alle imprese. Anche in una provincia altamente industrializzata come quella di Brescia, che guida da diversi anni la triste classifica delle morti sui luoghi di lavoro, gli infortuni mortali sono soprattutto tra edili e agricoltori. E edili e agricoltori ci sono in eguali misure in tutto il paese. “L”indice occupazionale” non ha neppure un valore statistico: a morire per oltre il 60% sono anziani agricoltori e edili che lavorano in nero o grigio. In agricoltura, che registra da sola il 33% di tutte le morti sul lavoro, tantissime vittime sono pensionati, schiacciati dal trattore che si ribalta e li travolge. Sono 131 in Italia dall’inizio dell’anno gli agricoltori uccisi dalla bara in movimento che è il trattore. Questi lavoratori non sono neppure considerati morti sul lavoro perchè già in pensione: spesso, lavorando sui campi, cercano solo di arrotondare le loro magre pensioni eche hanno il merito di coltivar tantissime aree del paese che altrimenti sarebbero abbandonate e in preda all’incuria e ai disastri ambientali. Ma la cosa che fa indignare di più è che basterebbe poco per salvare loro la vita con interventi mirati sulla cabina per evitare che siano sbalzati fuori dal trattore, nel caso di manovre sbagliate. In edilizia a morire sono giovani edili meridionali e stranieri anche nei cantieri del centro-nord: in aziende piccolissime, che lavorano spesso con commesse ottenute in sub appalto in nuove costruzioni, o in ristrutturazioni di case e appartamenti. Alcuni edili lavorano in nero e talvolta il “padrone” neppure esiste: ci sono pensionati o lavoratori che svolgono altre attività autonomamente, e senza responsabilità di terzi, mettendosi a fare lavori pericolosi in agricoltura, edilizia, giardineria, ecc. Molti s’improvvisano giardinieri e muoiono travolti dall’albero che segano o cadendo dall’albero che stanno potando. Altri s’improvvisano elettricisti, o muratori che vanno sui tetti senza impalcature a dare una mano ad un familiare, o all’amico e cadono al suolo sfracellandosi. Tutte queste tragedie non hanno nessuna copertura assicurativa. E si potrebbe continuare con una casistica molto corposa. La mancata esperienza e della dotazione di strumenti sicuri, in lavori rischiosi, provocano delle autentiche carneficine. E’ un aspetto controverso, ma è giusto denunciarlo se si vogliono salvare vite umane e far comprendere che ci sono lavori pericolosissimi che non si possono improvvisare, e che chi li fa, o li fa fare, si assume tutte le responsabilità del caso quali denunce penali e pagamento dei danni ai familiari delle vittime. Noi consideriamo anche queste vittime “morti sul lavoro”. Anche in questi casi l’INAIL, non essendo assicurati all’Istituto, non li annovera tra i propri “morti sul lavoro”: come del resto non lo sono gli anziani agricoltori e i militari e in tantissime altre situazioni che non stiamo ad elencare. Altra cosa sono i tantissimi “sfruttatori” che speculano su poveri immigrati e italiani bisognosi di lavorare, artigiani o piccole imprese che hanno lavoratori in nero, in grigio, o assunti regolarmente con contratti precari e stipendi da fame, ma che lavorano anche 10 o 12 ore al giorno mettendo così a rischio la propria vita. Lavorano col ricatto del licenziamento, mai esplicitato, ma che incombe sulle loro teste per tantissimi aspetti lavorativi, comprese le contestazioni sulla mancanza di “Sicurezza”. A volte sono proprio i proprietari della piccola impresa a morire per infortuni sul lavoro. Se si esclude l’agricoltura che ha aspetti particolari, si muore per la maggior parte nelle piccole e piccolissime aziende, nei servizi alle imprese e nei cantieri. Nelle aziende sindacalizzate, nonostante gli occupati siano milioni, le morti sui luoghi di lavoro sono pochissime, intorno al 2-3% sul totale. In questi giorni si parla di un aumento dell’età della pensione: vorrei ricordare che oltre il 25% di tutti i morti sui luoghi di lavoro ha oltre 60 anni: è disumano far continuare a lavorare persone in età avanzata che svolgono lavori faticosi e pericolosi. Vuol dire far aumentare in modo vertiginoso le morti sul lavoro. Anche i giovani lavoratori precari senza il diritto di contestare la mancata “Sicurezza” pena il licenziamento, pagano un prezzo elevatissimo di sangue. Poi ci sono le morti in itinere e sulle strade che ogni anno sono pecentualmente dal 50 al 55% di tutte le morti sul lavoro e anche in questo caso sono possibili interventi mirati per prevenirle.
Qui sotto l’andamento regionale e provinciale delle morti sui luoghi di lavoro.
Carlo Soricelli
Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro.
per approfondimenti http://cadutisullavoro.blogspot.com
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Situazione sul territorio
Qui sotto la situazione in ogni regione comparata con i morti sui luoghi di lavoro di tutto il 2010, col colore rosso sono evidenziate le regioni che hanno già eguagliato o superato i morti sui luoghi di lavoro dell’intero 2010:
Piemonte 48 registra + 71,4% in più dell'intero 2010 (28 morti)
Liguria 15 morti come nell'intero 2010 (15 morti)
Val d’Aosta 3 morti come nel 2010
Lombardia 73 morti -9,8 % sull’intero 2010 (81 morti)
Trentino Alto Adige 22 morti -31,2% sull’intero 2010 (32)
Friuli Venezia Giulia 12 morti +71,4% dell’intero 210 ( 7 morti)
Veneto, 47 morti registra – 11,3% sull’intero 2010 (53 morti)
Emilia Romagna 53 morti + 32,5% sull’intero 2010 (40 morti).
Toscana 41 morti +41,3% sull’intero 2010 (29 morti)
Marche 18 morti + 28,5% rispetto al 2010 (14 morti)
Umbria 17 nel 2011, +142% rispetto al 2010 (7 morti)
Abruzzo 27 morti + 28,5% rispetto al 2010 (21 morti)
Lazio 42 morti lo stesso numero di morti dell'intero 2010 (42 morti)
Molise 4 morti + 33% rispetto all'intero 2010 (3 morti)
Campania 38 morti -20,8% sull’intero 2010 (48)
Puglia 38 morti -15,5 % rispetto all’intero 2010 (45 morti)
Calabria 20 +11% rispetto all’intero 2010 (18 morti)
Basilicata 5 morti – 16,6% rispetto all’intero 2010 (6 morti)
Sicilia 42 morti lo stesso numero di morti del 2010 (42 morti).
Sardegna 22 morti - 8,3 dell’intero 2010 (24 morti)
Nel numero totale delle vittime segnalate nelle province mancano i lavoratori morti sulle strade, autostrade, itinere e i militari morti in Afghanistan, con questi si arriva a a sfiorare 1100 morti sul lavoro dall’inizio dell’anno (stima minima).
Le province con più di 5 morti sui luoghi di lavoro
Brescia 20, Torino 17 - Roma 15, Bolzano e Milano 14 - Bologna 12 e Frosinone12 - Chieti 11 - Vicenza, Venezia L'Aquila, Bergamo, Catania, BAT, Perugia, Napoli e Reggio Emilia 10 – Savona e Benevento 9 – Ragusa, Lecce, Foggia, Macerata, Arezzo, Trento, Padova e Cuneo 8 – Salerno, Treviso, Avellino, Firenze, Cosenza, Viterbo e Latina 7 - Terni, Trapani, Piacenza, Parma, Como, Catanzaro, Oristano 6 – Rovigo, Messina, Palermo, Bari, Alessandria, Brindisi, Nuoro, Cagliari, Caserta, Grosseto, Livorno, Forli-Cesena, Mantova, Varese, Asti, Udine 5.
Quando muore una persona anziana, sta nel corso naturale della vita, ma quando muore un giovane è sempre una tragedia, tanto più se studente-lavoratore come in questo caso e per 5 euro l'ora. Oltre che riflettere a quali e in quali condizioni devono lavorare giovani e non, secondo me, tutti quelli che muoiono sul lavoro sono degli eroi, ma con la E maiuscola ed invece, senza nulla togliere a qualunque persona che perde la vita, la TV, i Media in generale e le autorità statali considerano eroi solo i soldati che tornano nelle bare dalle zone di guerra! Questa cosa mi ha sempre dato un gran fastidio perchè le bandiere, gli inni e le parate degli ufficiali e autorità, vengono organizzate solo in tali occasioni, ricorderete anche le polemiche sui soldati mercenari italiani.
Insomma non è vero che la morte è come la livella famosa di Totò, anche in quell'occasione si vede la differenza !
A me personalmente fa più impressione e mi da più dolore la morte di Francesco, che di chi ha scelto di andare a combattere e non perchè i morti non siano uguali, ma perchè per questi giovani non ci sono scelte e spesso le scelte sono obbligate. Francesco è più piccolo delle mie figlie anche loro studenti-lavoratrici e con questo pensiero lo voglio salutare.
Tutti abbiamo avuto vent'anni, è un'età speciale, l'età delle speranze, dei progetti, della voglia di vivere e di costruire qualcosa di importante. A vent'anni l'idea della morte ci appare lontana, può colpire altri ma non noi. Invece sono molti, troppi i giovani che trovano la morte nel posto che dovrebbe servire per vivere, nel lavoro. Molti di essi sono giovani che hanno abbandonato la loro terra in cerca di un futuro migliore e invece hanno trovato la morte. Lo sdegno, il dolore, la commozione del momento si spengono troppo presto nell'opinione pubblica, restano scolpiti solo sui volti della madri, dei padri, delle giovani mogli. Poi? poi tutto come prima, senza un intervento credibile delle istituzioni per garantire sicurezza, controllo, cultura della sicurezza nei luoghi di lavoro; tutto come proima in attesa del prossimo lutto, della prossima commozione.