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Le differenza c’è, e si vede

Non sia mai che una femminista va all’estero pensando solo al relax, ci sono da studiare gli usi e costumi del Paese visitato! E ovviamente, nel mio ultimo viaggio a Londra non potevo non osservare e analizzare la condizione della donna, con particolare riferimento all’immagine di essa nelle pubblicità e nei media. Purtroppo ne sono uscita demoralizzata constatando il fatto che in Inghilterra non si abusa del corpo femminile, anzi lo si rispetta, basandosi solo sulle competenze e i meriti delle persone.

Le presentatrici televisive, ad esempio,sono donne normalissime, con i difetti fisici che tutte noi abbiamo, e si presentano davanti alla telecamera senza particolari concessioni al “vedo non vedo”. Tuttemolto professionali e sicure di sé, sono lì non come mero oggetto d’accompagnamento al conduttore maschio, ma come anchorwoman.

La figura che più mi ha sorpreso è quella della giornalista. Nei telegiornali, soprattutto in quelli della BBC (la nostra RAI), emerge la competenza dei conduttori e delle conduttrici. Non vi sono servizi registrati, che devono solo essere presentati, ma vi è quasi sempre un dialogo tra l’inviato e la giornalista in studio. Per fare questo è necessario che chi conduce abbia delle conoscenze su determinate materie o che comunque conosca l’argomento per essere in grado di interagire e di far capire, attraverso le sue domande, la questione al pubblico a casa.

Una riflessione a parte la meritano poi gli spot, sia televisivi che cartacei. Nelle pubblicità non si vedono parti di corpo umano, se non in quelle che reclamizzano intimi e costumi (dove le modelle peraltro posano in maniera naturale senza sguardi sensuali e ammiccanti).

Il prodotto è al centro dello spot: come si pubblicizza un deodorante? Parlando del deodorante, senza infilarci per forza la ragazza nuda. La vera mission della reclame è far conoscere il prodotto e i suoi pregi, non sedurre lo spettatore uomo come puntualmente accade nel nostro adorato Paese.

Inoltre, vi è una continua destrutturizzazione dello stereotipo, non si vede la donna che cucina e che cura la casa, anzi spesso vengono rappresentate come manager o comunque fuori dall’habitat domestico: la donna non è solo angelo del focolare. Tutto questo è il risultato non solo di una cultura da sempre profondamente diversa, ma anche delle proteste delle femministe inglesi che hanno portato all’eliminazione delle pubblicità sessiste senza bisogno di particolari leggi o ricorsi. Addirittura qualche anno fa sono state ritirate alcuni spot, sotto richiesta della parlamentare Jo Swinson, perché le modelle usate (Julia Roberts per esempio) erano apparse troppo ritoccate, e questo ha provocato un aumento di interesse per la chirurgia plastica e portato a problemi di alimentazione. Perché poi dietro a certi prototipi presentatici dalla televisione vi sono anche problemi di salute che si ripercuotono nelle ragazze e ragazzi che li vedono. Non a caso la scrittrice Fatima Mernissi alcuni anni fa dichiarò che il burqa d’occidente è la taglia 42 (sicuramente oggi anche la 38); certe figure, certi modelli ci vengono imposti e noi in maniera passibile li accettiamo senza batter ciglio. Crediamo che questa sia la normalità, ma cos’è mai la normalità?

Non voglio dire che in Inghilterra non esiste sessismo, infatti i ricorsi al garante della pubblicità sono numerosi, molti di più che in Italia, ma voglio sottolineare il fatto che nei Paesi Scandinavi c’è una maggiore attenzione, anche da parte degli uomini, sull’uso del corpo femminile. Questo genere di pubblicità non dovrebbe offendere solo noi donne, ma anche il cosiddetto sesso forte. Di norma le multinazionali adattano la loro pubblicità alla sensibilità di ogni paese: nessuna azienda fa pubblicità con l’intento di dispiacere ai suoi potenziali consumatori o, peggio ancora, ai governi nazionali. Ed ecco quindi che da noi lo yoghurt è presentato come una voce sensuale e una bocca, dipinta con un rossetto rosso, che evoca tutto lo scopo della pubblicità.

L’uomo italiano è visto come primitivo e sessualmente istintivo, cosa ci possiamo aspettare dal Paese dove ancora regna la figura del Macho Latino e che all’estero viene ricordato per i Bunga-Bunga di Arcore? Ma non credo che gli uomini italiani siano tutti così, anzi vorrei che anche loro iniziassero a indignarsi per questa scarsa considerazione a loro riservata da parte delle aziende e dei pubblicitari. Ico Gasparri, da vent’anni impegnato nella causa, sostiene che “non si debbono sottovalutare i poteri dei messaggi, più o meno subliminali che ci bombardano in modo ossessivo ogni giorno, e che sicuramente influenzano il nostro atteggiamento mentale nei rapporti tra i sessi. Veniamo spinti a identificare il prodotto reclamizzato con un corpo femminile oggetto di desiderio di possesso e riduciamo, spesso inconsciamente, la donna stessa a merce.” Perché le pubblicità sessiste offendono tutti.

Michele Lupetti

Colui che nel lontano 2006 ideò tutto questo. Fondatore e proprietario di ValdichianaOggi, dopo gli inizi col blog "Il Pollo della Valdichiana". Oltre a dispensare opinioni sulle cose locali è Beatlesiano da sempre (corrente-Paul Mc Cartney), coltiva strane passioni cinematografiche e musicali mescolando Hitchcock con La Corazzata Potemkin, Nadav Guedj con i Kraftwerk. I suoi veri eroi, però, sono Franco Gasparri, Tomas Milian, Maurizio Merli, Umberto Lenzi... volti di un'epoca in cui sarebbe stato decisamente più di moda: gli anni '70

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