Vivere in una piccola comunità è un privilegio che pochi capiscono ed apprezzano sino in fondo.
Forse è l’abitudine di stare dentro le cose all’interno di una esistenza che è misurata – ora dopo ora – dal lento fluire di abitudini consolidate. Gli stessi affetti, le feste, i riti di ogni giorno cadenzano una storia che sembra ripetersi all’infinito. In luoghi così piccoli, nascere, vivere e forse anche morire non è un fatto privato, che tocca i sentimenti di un piccolo nucleo familiare ma è qualcosa che va al di là della sfera personale, delle stesse pareti domestiche.
Diviene un momento importante (nel bene e nel male) di una intera comunità.
Se una cosa del genere accade in una città quasi sicuramente essa tocca un numero insignificante di persone: qualche parente, forse pochi amici e nulla più. Se tutto ciò avviene in un piccolo paese, ecco che il popolo di quel minuscolo borgo si sente partecipe di quanto successo e vive intensamente la vicenda assumendola in buona sostanza a dramma, gioia, lutto o festa collettiva.
Ho voluto fare questa premessa in riferimento all’ultima tragedia che ha colpito in questo maledetto 2017 la comunità di Lucignano: la morte di Massimo Pasqui. Perché è evidente che si tratta di un fatto tragico, che supera il confine del lutto familiare e avverte ed interroga in profondità emozioni e pensieri di ognuno degli abitanti di questo piccolo paese della Valdichiana. La morte stessa di Massimo, così improvvisa e inaspettata, ha letteralmente messo a dura prova le coscienze della gente di Lucignano. Essa, nella sua spaventosa epifania, appare agli occhi di tutta la comunità come l’ultimo terribile passaggio di un percorso drammatico che ha visto in questo anno morte e dolore nelle famiglie lucignanesi.
L’uccisione di un padre ad opera di un giovane figlio, la morte assurda di un ragazzo di questo paese sotto il treno ad Arezzo, la vita perduta di Massimo sono grani di un doloroso rosario che riguarda per l’appunto questo luogo. E per tre volte, in questo annus horribilis, il dramma che ha sconvolto un nucleo familiare è diventato il tessuto connettivo di una tragedia vissuta e partecipata con intensità e pudore da una comunità intera.
È il ritrovarsi nel segno di un lutto che ammutolisce e recupera le dimensioni di un vero spaesamento nel quale sembra immersa la coscienza di ognuno di noi. Non bastano certo le parole di commiato, le lacrime più che giustificate per un’altra morte prematura a dare fino in fondo l’idea di un dolore che è di tutti.
Massimo con la sua morte assurda ha regalato ancora, attingendo alla sua straordinaria generosità, un piccolo preziosissimo tesoro: l’idea di appartenenza della comunità di Lucignano, una pena che è in qualche modo identitaria. Il suo funerale così affollato, la muta partecipazione di tutta la gente accorsa alle esequie di un altro figlio di questa terra, le parole sofferte e allo stesso tempo profetiche del celebrante, sono l’ulteriore definitiva testimonianza di un legame profondo, indissolubile, mai come in questo frangente così elaborato, tra gli abitanti di Lucignano.
Massimo adesso riposa in pace nel cimitero comunale, accanto a persone che in vita ha amato e con cui ha condiviso gioie ed emozioni, speranze ed affanni, nel suo purtroppo breve percorso terreno.
Con quella bonomia che lo ha reso amico di tanti, in maniera semplice come sempre ha fatto per 58 anni, ci lascia una lezione di umanità prima ancora che di civiltà. La sua morte così improvvisa e allo stesso tempo ingiusta ci conferma l’orgoglio di appartenere ad una comunità che nelle alterne vicende delle nostre esistenze trova il senso profondo della condivisione.
Grazie Massimo, che ti sia lieve la terra.
Guido Perugini
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