Visto che tutti l’hanno fatto e che col Natale e suoi derivati è stato l’argomento principe, piuttosto che discutere di un bar chiuso per qualche grammo di cocaina spacciata (argomento primario sotto gli alberi natalizi cortonesi), provo a dire un attimo la mia sul tanto vituperato Giorgio Bocca. Morto a 81 anni, poche ore fa, ha contrassegnato almeno 6 decenni del nostri giornalismo. O anche più. C’è stato sempre. Un po’ come Andreotti in politica.
E quando ci si è sempre, per 70 anni, è inevitabile incappare in qualche contraddizione, dire una cosa e poi dire il quasi contrario 2, 3 o 10 anni dopo. Proprio quello che, da un bel po’ di ore, è tanto di moda sottolineare: che Bocca in vita sua qualche cazzata l’ha detta. E tanti “coccodrillari” non hanno nessuna pietà, pensando forse di essere chissà quali Montanelli del duemila e poter sputare giudizi senza farsi troppi problemi.
Dico la verità: Giorgio Bocca non mi era simpatico. Non condividevo quasi niente di quello che diceva o scriveva.
Potrei descriverlo, per quello che ho letto e visto, come un uomo coraggioso, un uomo d’azione, un uomo palesemente schierato. Pregi e difetti che hanno contrassegnato il suo che più che giornalismo è stato opinionismo. Ma rileggere i suoi scritti, i suoi editoriali, è un bel modo per ripercorrere la storia italiana degli ultimi decenni da un certo punto di vista, sempre e comunque autorevole e interessante.
Punto di vista modificatosi nel tempo, forse a volte incoerente, forse a volte ballerino e un po’ intriso di partito preso. Ma il coraggio di dire quello che si pensa sempre e comunque a me piace più della coerenza. E proprio per questo, pur non essendo di sinistra nè tantomeno un “bocchiano” non mi associo al coro dei demolitori, ma saluto con rispetto un uomo che, a modo suo, ha fatto (e scritto) un pezzo di storia del nostro paese
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