Eviterò, al rientro dopo 3 mesi, di dilungarmi in festeggiamenti, trenini e Brigitte Bardò Bardò per il ritiro del nostro premier-playboy, ma racconterò il mio day after trenini, cioè domenica scorsa. La sera prima, inebriato dalla gioia avendo sentito la lieta novella da LA7 appena rientrato in Chiana da Firenze, ho uno slancio di generosità e assicuro alla famiglia la presenza al rito annuale di raccolta delle olive. Un rito sacro maledetto da tutti eccetto il mì nonno che lo vede come una sorta di lavacro purificatore, un doveroso cilicio da consacrare alla fatica del lavoro manuale nei campi. Passata questa settimana di passione (per fortuna siamo poveri e abbiamo poche piante) si sta tutti meglio e ci si sente a posto.
Tutti si chiedono ormai che senso abbia ripetere ogni anno una così tal fatica, con la quale si lavora giorni e giorni per ottenere un succo sì prelibato e fondamentale per la nostra cucina, ma comunque acquistabile ovunque a costi non certo alti e vendibile praticamente da nessuna parte proprio perchè c’è sempre qualcuno a cui l’olio avanza che va in giro a svenderlo. E’ la grande fregatura dell’agricoltura di oggi: sudore, fatica, cuore e corpo… e in cambio poco o niente.
“Ma questo al massimo sarà un problema del mì nonno, che c’entro io che so ingegnere?” penso fra me al risveglio prematuro domenicale, con l’aria che pizzica e punge le mani, mentre inanello passi faticosi con gli stivali nella fanghiglia, guardo le piante e vedo quella fastidiosa brina che si deposita sulle olive.
E poi quei panierini per raccogliere le olive una a una, perchè non sia mai che si possa usare la macchinetta e si tirino giù un po’ a cavolo per risparmiare tempo. La macchinetta il mi nonno s’è l’è comprata, l’ha pagata anche qualche centinaio di euro, ma non si usa perché (dice) rovina le piante.
Ho evitato di far notare al nonno che la mia azione maldestra provoca sradicamento di rami e apporta danni ben superiori a quella che creerebbe l’uso della macchinetta. Ma non voglio togliergli l’illusione di essere un buon coltivatore diretto, suo degno futuro erede.
La cosa bella della giornata da contadino è che ogni scusa è buona per una pausa. E a ogni pausa si materializzano dal nulla ampi panieri panini assortiti e altre delizie preparate dalla mi nonna, che segue il mi nonno come una fedele scudiera. Forse a volte si chiede anche lei che senso abbia tutto questo, ma ormai che ci vo fà, s’è fatto per 70 anni si potrà farlo anche per 71.
Nel panino, ovviamente, non manca la porchetta perchè cavolo, siamo del Monte.
E così dopo cinque ore di cui neanche due lavorate (le altre tre sono per le pause) e cinque panini gonfi di salumi e qualche fettina di cacio tagliata in loco eccoci rientrare a casa. Si scaricano i sacchi, e via si torna alla vita cittadina.
La sera ho chiuso gli occhi e ho iniziato a vedere solo olive. Ma m’è venuta da pensare che d’animo (e anche di fisico, forse) sta molto meglio il mi nonno che io.
In attesa ti sapere quanto m’hanno fatto ste olive (pronostico del mì nonno: “18”) vi saluto.