Di Fabio Comanducci
Per caso, qualche mese fa, ho acquistato un “libercolo” scritto da Luca Nanniperi dal titolo “Salvatore Settis – La bellezza ingabbiata dallo Stato”. E’ un libro di una cinquantina di pagine ( 35 effettive), da cui la definizione data dallo stesso Nanniperi di libercolo, definizione che contraddice in realtà ciò che per me ha rappresentato questo breve testo, facendomi riflettere e ragionare sull’importanza del Patrimonio Culturale, bene comune del nostro Paese, argomento alquanto attuale e rilevante per la mia vita e quella dei miei concittadini .
Noi viviamo in un borgo antichissimo e bellissimo, con palazzi, chiese, piazze, musei, ville, meravigliosi paesaggi e con una grande ricchezza di storia passata, dagli etruschi all’ottocento, che quei monumenti ci raccontano e ci ricordano, borgo che dovrebbe facilitare il mantenimento della nostra identità. L’orgoglio di essere cortonesi (e mi rivolgo a tutti i residenti del territorio e a tutti coloro che hanno Cortona nel cuore) è una prerogativa che ancora accomuna tutti i cittadini del comune, se pur con sfumature diverse, soprattutto in base al luogo di nascita, anche se lo scorrere del tempo e la progressiva e inarrestabile globalizzazione sembrano minare tale condizione che definirei privilegiata. Soprattutto nelle nuove generazioni, sempre meno si sente questo spirito di appartenenza ad un luogo e sempre più ci sentiamo cittadini del mondo, una realtà indefinita e sfuggente, che continuamente si trasforma rinnegando oggi ciò che aveva esaltato ieri. E anche noi meno giovani rischiamo di farci travolgere da questi epocali cambiamenti, basati sulla tecnologia e sul virtuale, dimenticandoci del nostro passato, non riuscendo a vedere con chiarezza e speranza il nostro futuro, e vivendo in modo confuso e spesso con timore il nostro presente che è sintesi continua tra passato e futuro.
Come arginare tale dirompente inondazione di dimenticanza e perdita di senso delle proprie radici?
Innanzitutto è necessario mantenere viva in noi l’attenzione alla nostra storia che di fatto è rappresentata dal patrimonio culturale del nostro territorio (sia locale che nazionale): infatti oggi poniamo attenzione a ciò che avviene a migliaia di chilometri di distanza e non ci curiamo della piccola pieve persa nella nostra montagna, luogo di preghiera e di ritrovo dei nostri nonni e genitori.
E in questo senso è opportuno ricordare la recente e lodevole iniziativa posta in essere dall’Associazione La Montagna Cortonese e la fraternita laica domenicana di Cortona riguardante l’inaugurazione di un sentiero dedicato a Pier Giorgio Frassati che termina presso la chiesetta di Vaglie, all’interno della montagna cortonese, e la volontà di restaurare questa antica pieve dedicata a S. Cristoforo.
Per meglio individuare le azioni da intraprendere per riscoprire la bellezza e importanza del nostro patrimonio culturale, è interessante evidenziare come definisce il patrimonio culturale Nanniperi:” Il patrimonio culturale è un processo educativo in cui una civiltà interroga le ragioni di se stessa nell’animo di ciascuno”. Che valenza ha infatti una meravigliosa chiesa se non suscita emozione, mistero, turbamento, se non genera una crisi soggettiva che produce l’inizio di quel lavoro interiore che permette di mantenere vivo l’interesse per la bellezza di quanto ci circonda? La bellezza non è un paesaggio o un insieme di opere, ma un insieme di attenzioni, nel senso di essere “tesi a…” cioè volgere il proprio interesse verso un determinato oggetto materiale o immateriale.
La primaria funzione del patrimonio culturale appartenente ad un Paese è quella di unire il popolo di quel Paese, ma ciò avviene quando ciascuno vive le stesse emozioni, non può esserci unità fuori da sé: l’unità non può essere imposta dall’alto e limitarsi a trovare la sua forza nel passato, come oggi troppo spesso si pretende: la stessa lingua, la stessa origine latina, il risorgimento, Manzoni e Dante sono tutti elementi del passato, importanti, ma che devono essere continuamente vissuti, fatti propri e non ricordati in noiosi discorsi propinati da politici o da professori, stanchi di raccontare le solite favole a studenti interessati più al prossimo modello di iPhone che non a Renzo e Lucia o allo sbarco dei Mille a Marsala.
E’ fondamentale che ogni singolo cittadino trovi senso a ciò che di bello lo circonda e tale traguardo è la conclusione di quel processo educativo ricordato in precedenza.
In tale contesto ribadiamo che, come tutte le correnti di pensiero delle scienze umane affermano, il processo educativo inizia in famiglia, si rafforza nella scuola e si consolida con le esperienze della propria vita. E’ quindi essenziale che il processo educativo indirizzato all’apprezzamento del patrimonio culturale, volto alla conoscenza prima e alla “dipendenza emotiva” dopo, sia pane quotidiano consumato in famiglia, ma è necessario anche e soprattutto che la scuola, fin dai primi anni, educhi le donne e gli uomini di domani a diventare custodi del proprio territorio e delle proprie “bellezze”, partendo dalle opere meno conosciute ma sentite proprie.
La nostra cittadina e il nostro territorio offre una miriadi di opportunità di crescita per tutte le età e per tutte le esigenze.
Vicino all’Istituto Vegni in località Capezzine/Centoia e da anni presente, per esempio, un luogo ove si respira aria di altri tempi, l’aria della nostra campagna: mi riferisco al Museo ai Borghi, grazie al quale i nostri giovani sono in grado di rivivere il passato dei propri genitori e nonni, mentre gli adulti e i vecchietti possono dare nuova vitalità ai propri ricordi. Ecco un esempio di luogo costruito dall’uomo per ricordare, analogamente alla primaria funzione svolta dai due musei di Cortona, che racchiudono il nostro passato e che, arricchendo il nostro presente, ci illuminano verso il nostro futuro. Ma accanto ai musei, in tutto il nostro territorio comunale, esistono chiese e monumenti che hanno bisogno della nostra opera per tornare a vivere, facendo si che “la domanda di senso che quel luogo incarna con il suo stesso esserci diventi una domanda di senso e di significato nella nostra vita e nella vita dei nostri cari”. Usciamo dalla comodità apparente delle nostre case, delle aule scolastiche e accademiche, degli ordinari luoghi di svago, per andare a custodire quel piccolo cimitero accanto alla pieve di montagna o di campagna abituandoci al fatto che la vita è unita alla morte e lì, sotto terra, ci sono i nostri cari, con i quali siamo uniti non nel tempo ma nello spazio comune; custodiamo le nostre chiese, le nostre strade, i vicoli e gli angoli della nostra città, custodiamo il nostro mondo, piccolo come dimensione ma immenso come affetto.
Bisogna rendersi disponibili all’inaudito (ciò che non è udito, ascoltato, a cui non abbiamo dato la nostra attenzione), altrimenti l’uomo si spegne, si spegne la sua conoscenza, si spegne il suo ardore, la sua ricerca di senso e si perde dietro alle chimere del “moderno”, del qui ed ora che, in quanto tali, non hanno radici e non hanno futuro.