{rokbox title=| :: : |}images/tobagi.jpg{/rokbox}In pochi, speriamo non in pochissimi, si sono finora ricordati che oggi ricorre il trentesimo anniversario della morte di uno dei più coraggiosi giornalisti che il nostro paese ricordi: Walter Tobagi. Nato a Spoleto si era ben presto trasferito a Milano lavorando prima all’Avanti, poi ad Avvenire e infine al Corriere della Sera. In prima linea nella condanna e nella lotta al terrorismo, Tobagi fu ucciso a soli 33 anni da terroristi della “Brigata 28 Marzo”, uno delle tante ramificazioni “non ufficiali” e delle piccole sigle che gravitarono nell’ambiente di estrema sinistra di quegli anni. L’esempio di Tobagi, per correttezza e coraggio, come pure per la lucidità che da sempre contraddistinse le sue analisi e le sue inchieste e l’apporto fondamentale che seppe dare per sconfiggere il terrorismo, è un esempio mai come oggi valido e da seguire per chi voglia prendere sul serio questo mestiere.
E’ strano e amaro constatare però che a Tobagi facciano poco o nessun riferimento anche coloro che da un po’ di tempo sono soliti mitizzare come esempi di coerenza e rettitudine morale e professionale alcuni giornalisti dell’Italia passata, lamentandosi così delle sciagure attuali. Allo stesso modo la figura di Tobagi dovrebbe, ma non lo è stato in questi giorni, essere spunto sia per non dimenticare una stagione tragica della nostra storia repubblicana (il 28 Maggio è anche la data della strage di Piazza della Loggia a Brescia), evitando di cedere al “perdonismo” intriso di inaccettabili pseudo-giustificazioni ultimamente sempre più dilagante, sia per cercare ancora, 30 anni dopo, di fare piena chiarezza su tutto quello che successe e sulle tante dinamiche che restano oscure
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