{rokbox title=| :: |}images/thewall.jpg{/rokbox}Ricominciano le scuole quasi ovunque dalle nostre parti, e si rinnovano i soliti discorsi: le critiche al Governo che taglia e riorganizza, gli studenti che si preparano ad un caldo autunno di lotte e occupazioni (e da 32enne non posso far altro che invidiarli, ricordandomi del passato!), i pericoli per il calo dell’offerta formativa, il rischio di riduzione degli strumenti didattici più elementari, la necessità di tutelare il diritto allo studio e di mantenere in vita una scuola pubblica di qualità
In questo guazzabaglio confuso, in questa vera e propria tempesta, si rimettono in mare le barche dei vari istituti. Ogni istituto ha la sua barca, che probabilmente prende acqua qua e là, ha le vele o i motori mezzi rotti, sta a galla insomma a fatica. La barca, però, è per tutti la stessa, che si tratti di professori, presidi, segretari, bidelli, studenti.
Proprio perchè la barca è una sola e l’obbiettivo dovrebbe essere lo stesso per tutti l’appello che vorrei lanciare è quello di cercare di capirsi a vicenda e collaborare. Un appello che faccio al lato ‘adulto’, cioè ai prof e al personale non docente, e che faccio anche ai ragazzi. Si può star bene insieme, davvero, si può collaborare, e insieme si può crescere e tradurre in pratica il concetto di educazione e formazione. Da parte mia ho avuto molti professori, e almeno con tre o quattro di essi negli anni delle medie e del liceo sono riuscito a instaurare un rapporto buono. Ad uno di essi, non faccio nomi per piaggeria (ma lui tanto lo capirà benissimo) devo buona parte della mia unica dote, il saper scrivere decentemente e il pormi domande sempre, su tutto. Ancora gli copio qualche discorso e qualche idea, ma è inevitabile, ed è un piacere ammetterlo quando lui me lo fa notare (è successo anche qualche sera fa).
Io quei prof li stimavo perchè mi rendevo conto che erano preparati, sapevano la loro materia e sapevano come rendermela interessante, come stimolarmi a fare bene, a impegnarmi, a migliorarmi. Li stimavo anche perchè mi sentivo capito, e non trattato con sufficienza, come un nome scritto su una riga del registro di classe. Sapevano come comportarsi, e io sapevo come comportarmi con loro.
Ecco: probabilmente è questa l’unica strada possibile: nel marasma delle precarietà, delle classi sovraffollate, dei programmi da riadeguare, di libri che si comprano ad Agosto e poi restano nel cellophane, bisogna cercare di capirsi, di sopportarsi, di sostenersi. Da domani cari studenti, e cari prof, perlomeno provateci.
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