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Un Sanremo che racconta l’Italia di oggi, e lo fa tragicamente bene. Non racconta solo il suo peggio come nelle edizioni passate; racconta l’Italia tutta, coi suoi alti e soprattutto i suoi tanti bassi descritti (coscientemente o involontariamente?) con la perfezione di un certosino. A brillare è stata la comicità e la parte giovanil-creativa che in Italia ancora un minimo esiste: Luca e Paolo non sono finiti stritolati nella meccanica del buonismo da Ariston, se ne sono fregati e ci sono andati giù pesanti, ma con stile.
Non hanno fatto i Vauro, nè tantomeno i Greggio, e neanche i Benigni. Contro, ma con classe. Sono contento per loro.
In un paese normale in cui se uno è bravo è bravo, e ci si investe subito, due semi-giovani con esperienza e idee come loro avrebbero avuto diritto a condurre da soli la trasmissione. In Italia, il paese dove il progresso e il ricambio arriva con la velocità di un bradipo imbottito di sonniferi, a 40 anni devono ancora accontentarsi di fare le ‘spalle’ a un vecchio di 324 anni che gioca ancora a fare il giovane, con tanto di inguardabile giacca paillettata.
Pazienza.
L’Italia descritta con la perfezione di un certosino, dicevo. Anche l’Italia della musica e più in generale della cultura, dove ormai è rasa al suolo ogni possibilità di innovazione, creatività, modernità, genialità.
Sul palco il tragico ritratto del paese: giovani che hanno le abitudini, i gusti, le conoscenze e i principi morali dei loro nonni (loro, poveretti, non avevano potuto studiare) e copiano (male) la musica di 60 anni fa mentre vecchi babbioni ormai imbolsiti, maschera di quel che sono stati, offrono scialbe prestazioni fra inspiegabili ovazioni del pubblico in sala.
Categoria a parte: Max Pezzali, vestito da pastore abruzzese e ormai prossimo sui 100 chili. Un mito.
Una sorta di mezzadro comasco canta un brano in dialetto e rappresenta l’unico colpo a sorpresa della serata. Inzialmente credevo si trattasse di un comico di Zelig, poi ho capito che stava facendo sul serio. Ma almeno mi ha incuriosito.
Per il resto sempre gli stessi personaggi, gli stessi cantanti, perfino gli stessi direttori d’orchestra. C’è ancora Peppe Vessicchio.
Infine: le donne. Confinate a contorno. Un ballettino, due cavolate, nient’altro. Come in Italia, appunto. Ti prendono se sei bella e giovane, ma più che la patata lessa non ti fanno fare, da nessuna parte. E devi pure ringraziarli.