di Ferruccio Fabilli
La PREMESSA. Tempo fa, commentando di Alessandro Di Battista (Dibba) al circolo tennistico Seven Point, rilevavo una straordinaria partecipazione per l’ora e il freddo che alitava, dal variegato colore di politici locali presenti (anche del passato), sospinti da curiosità per un personaggio di punta del M5S, vedendolo col “vento in poppa”. Nel commento, spiegai anche la mia presenza, indirettamente sollecitata da un vecchio commilitone – tra gli scaffali della Coop – dalle passate simpatie centro-destrorse: “Vieni anche tu a sentire il Dibba?”. Intrigato dal vedere in azione un personaggio dall’indubbio talento comunicativo, e capire quell’invito sorprendente.
Dopo quell’evento mi fecero riflettere un altro paio di circostanze. In ambienti più vari la domanda frequente che mi si rivolgeva: “Stavolta chi si vota?” o, in misura minore, un significativo: “Son tutti uguali… Non andrò a votare”, che poi non era sempre vero quel che dicevano, forse intendevano: “Non ti dico il mio voto ma sarà diverso dal passato”. E, a ridosso del voto, stavolta da persone di genere femminile e in ambienti lavorativi diversi: “Noi donne abbiamo deciso di votare Lega…Abbiamo paura di troppe “strane” inquietanti presenze”. Era passato il messaggio di Salvini che intendeva stoppare l’immigrazione.
Intanto seguivo sui social pronunciamenti esagitati, sguaiati, offensivi contro questo o quel personaggio. Il modo peggiore e incivile di esprimersi pubblicamente. Mentre altri, pur non risparmiando agli avversari definizioni spregiative (populisti, razzisti, antieuropeisti, ignoranti, incapaci, testoni, ecc. ecc.), motivavano loro scelte di campo verso soggetti politici di nuova costituzione, che, a lume di naso, non avrebbero avuto tanta chance: quelli di LeU e di Potere al Popolo. Che seguivo per una sorta di solidarietà da comunista romantico ma assolutamente incredulo su tante ambizioni. Anche a destra ho visto l’impegno nel testimoniare nostalgie fasciste attraverso il sostegno a liste votate a sicuro insuccesso. Prese di posizione intramezzate da fatti e manifestazioni “fasciste” o “antifasciste” di un’asprezza anacronistica che spero finiscano presto. Senza trascurare l’attivismo dei simpatizzanti del PD. (Da noi, prima di questo voto, partito maggioritario in molti comuni). Salvo rare eccezioni, ridotti a renziani ed ex DC, astiosi verso i transfughi di LeU – modesta pattuglia di ex dirigenti PCI – e in difficoltà nell’intessere un dialogo con i propri elettori. Chiaro segnale di molti abbandoni verso la Lega e il M5S. Superfluo sottolinearlo, nella cabina elettorale sono saltati i vecchi vincoli anche per elettori di una certa età, che hanno votato in sintonia coi nuovi elettori. Un voto che, coi vecchi metodi analitici, si sarebbe detto di protesta. Ma oggi, o meglio già da ieri, non è più così. Per la sinistra, in passato, c’erano truppe ausiliarie efficienti e fedeli (su tutte ricordiamo la SPI-CGIL). Abbiamo anche in provincia di Arezzo esempi eclatanti di cambi di maggioranze. Il problema politico è prima ancora culturale e sociale. E quel che resta di una sinistra, un tempo granitica e maggioritaria nella società e nei luoghi di lavoro, ha subito una disgregazione che minaccia ulteriormente di approfondirsi, fino al disfacimento. Nonostante prove di orgoglio di ricostruire qualcosa che si richiami al passato o ai valori del socialismo. Tardive e presuntuose nella loro autoreferenzialità e autosufficienza, incapaci di cogliere nuove realtà sociali ed economiche. Compreso il ruolo dell’Europa, scaduto a oligarchie protettrici delle lobbie economiche. Nata invece per portare i cittadini del continente a vivere in un contesto di sviluppo economico e protezioni sociali. Insomma l’opinione pubblica europea, oggi quella italiana, guarda a quelle forze politiche non quiescenti attestate sulla linea della più equa ripartizione della ricchezza che è tanta, nonostante il debito pubblico. Formatosi anche per sostenere imprese che, una volta risollevatesi, hanno fatto cucù all’Italia, come la Fiat, che se la sono squagliata col malloppo! Volenti o nolenti, il quadro politico nuovo determinato da Lega e M5S sembra aver colto le nuove esigenze popolari. Portando anche molti intellettuali a non giudicare il nuovo come catastrofe, ma cercando di discernere il grano dal loglio. Forse quella di Scalfari sarà un’uscita estemporanea, ma fa riflettere: per i nuovi scenari politici sarebbe auspicabile, come è accaduto a destra, un analoga aggregazione popolare a sinistra tra PD e M5S.
L’EPILOGO. Limitato alla Valdichiana aretina. Stando alle politiche 2018, non esisterebbero più roccaforti di centrosinistra. Il centrodestra, rinsanguato dalla spinta leghista, contende in molti comuni il primato al centrosinistra. Il M5S, pur non raggiungendo vette eclatanti, è il terzo polo e conserva la sua deputata. Cosicché il futuro amministrativo dei Comuni si presenta incerto, anche nelle roccaforti storiche di centrosinistra. Quali saranno gli elementi determinanti nei futuri assetti? Sono tutti da valutare. Nei Comuni sotto i 15 mila abitanti – i più – saranno sempre le coalizioni civiche offerte agli elettori a determinare il governo delle Città. Con un dato numerico che balza agli occhi: saranno determinati i voti dei 5 stelle. A meno che questo Movimento non tenti da solo la scalata, com’è verosimile, con esiti incerti dal momento che ad oggi si presenterebbe per consistenza come terzo polo. Oltre al fatto che nelle elezioni amministrative è più scontata la conferma della coalizione al governo, salvo aver smarronato di brutto con gli amministratori uscenti. I Castiglionesi ne sanno qualcosa. Interessante, per l’incertezza sulla carta derivata dal voto politico, sarà il voto amministrativo a Cortona. Sarà un problema di candidati? Anche. Sarà un problema di coalizioni? Anche. Ma, se pur prematuro, il futuro del governo a Cortona dipenderà anche dagli sviluppi politici nazionali e regionali nelle relazioni tra PD e M5S. Almeno così parrebbe a colpo d’occhio.
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