di Fabio Comanducci
Il 28 agosto si è svolto a Cortona nell’angusto atrio di Palazzo Casali, un bel convegno che aveva per oggetto il rapporto tra politica e cultura. I partecipanti erano di indubbio valore e fama, primo fra tutti il prof. Cacciari, oltre al direttore della Normale di Pisa e al presidente della Regione Toscana Rossi.
Da subito si è instaurata una interessante discussione con le varie esternazioni dei protagonisti, ripetiamo tutti di alto profilo. Si è parlato dell’uomo captivus (letteralmente prigioniero, aggiungo io delle proprie passioni e desideri, oltre che dei suoi limiti), dell’essere e del dover essere, si è affermato che 1 non è uguale a 1, l’importanza del conflitto, la presenza di fantasmi e di una realtà costruita fuori dal vero e via dicendo, in un colloquiare tutto sommato di facile comprensione e arricchente per chi ascoltava con attenzione.
Ma non voglio far certo il riassunto o il commento puntuale su quanto detto, non ne sarei ovviamente capace.
Ciò su cui vorrei concentrare l’attenzione di chi ha la pazienza di leggere, sono alcuni punti di riflessione e anche di domanda.
Innanzitutto perché una manifestazione di tale livello culturale è stata segregata in un ambiente non idoneo per ricevere tanta gente? Se poi abbiniamo tale aspetto alla poca pubblicità fatta dell’evento, mi viene da chiedere: Anche questa volta una occasione persa per permettere ai cittadini di tutto il territorio (ho visto anche alcuni intellettuali di Arezzo che conosco personalmente, almeno di fama) di ascoltare, valutare e decidere di aderire o approfondire quanto detto nel contesto del convegno, da personaggi all’altezza di dire qualcosa di interessante, condivisibile o meno, ma comunque stimolante e, per certi aspetto unico e irripetibile per la contemporanea presenza di cotanti personaggi.
Già su facebook si sono schierati alcuni amici che hanno avanzato la ipotesi che tale manifestazione sia stata costruita su misura per lo sparuto gruppo di anziani comunisti ( o comunque di sinistra ). Certo alla fine del dibattito, complice anche il politico presente Rossi siamo scesi sulla valutazione degli attuali leader del partito di governo e ciò, pur se condividendo, non mi è sembrato opportuno in quanto una cosa è parlare di idee ad alto livello e ad ampio respiro, affermando verità che non hanno per forza una connotazione politica italiana ben definita ( e per me non c’è nessun partito in Italia che ad oggi persegue quelle idee esposte ieri), una cosa se facciamo riferimento a fatti e persone, nel tal caso occorrerebbe creare la possibilità di replica dalla parte “offesa”, cosa ovviamente ieri impossibile anche perché, secondo me, questo non era lo scopo dell’incontro.
Già, appunto, ma quale era lo scopo dell’incontro e a chi era rivolto tutto quel pensare e declamare elevati pensieri filosofici? Io mi auguro ai cittadini semplici, a quelli che talvolta non valgono 1, ma che quando vanno a votare il proprio voto ha eguale peso di quello di Cacciari e del direttore della Normale di Pisa e, considerando che di Cacciari ce ne è uno solo, mentre i cittadini sono tanti, beh, forse nel dualismo politica ed intellettuali, anche i cittadini devono trovare un loro spazio.
In un ipotetico processo decisionale per la gestione della “Cosa” pubblica, si dovrebbe partire sempre dall’intellighenzia, che ha il sapere in tutti campi (umanistici e prettamente scientifici) mediata dalla politica che adatta quanto gli intellettuale deducono dalla loro conoscenza ed esperienza alle effettive esigenze dei cittadini. Da parte loro i cittadini non devono passivamente accettare ciò che i politici propongono ed attuano, ma avere la consapevolezza della bontà delle scelte fatte. Tale responsabilità dei cittadini è figlia stessa della democrazia che impone ai cittadini di dare fiducia a coloro che, nel quotidiano, regolano la vita del Paese.
Ecco quindi che il cerchio si chiude imponendo agli intellettuali di essere i buoni padri di famiglia che, da una parte indicano la giusta strada ai politici, ma dall’altra verificano le proprie teorie con la realtà quotidiana di tutti noi, troppo spesso lontana anni luce da quella degli intellettuali.
Tutti dobbiamo assumerci le proprie responsabilità, tutti dobbiamo innanzitutto essere per riuscire a dover essere, dover essere (tendere ad essere) innanzitutto buoni intellettuali, buoni politici e buoni cittadini, in una continua lotta con se stessi, per correggere la nostra natura, che di per sé è cattiva, cioè schiava delle nostre pulsioni e dei nostri limiti, in un conflitto perenne ma imprescindibile, con il quale dovremmo combattere fino alla fine dei nostri giorni.