Opinioni

Decreto Dignità, Nomine Rai e meccanismi di convincimento di massa

di Fabio Comanducci

In questa piacevole estate, che pigramente trascorre tra un temporale e il sole accecante, distrattamente ascolto la televisione e leggo le notizie che popolano i giornali.

Da quel poco che ho captato però, si fa sempre più forte in me il convincimento che le parole abbiano perso di significato, in un trionfo incontrastato di ciò che caratterizza in primis la pubblicità: esaltare le qualità presunte del prodotto o servizio a prescindere … ecco a prescindere da ciò che realmente quelle parole vogliono rappresentare.

Due esempi su tutti: 1° – Il decreto dignità elimina il precariato nel lavoro; 2° Con la nomina dei nuovi vertici RAI abbiamo iniziato la rivoluzione in questa azienda pubblica.

La storia di raccontare cose che, nei fatti non esistono, in realtà è nata dal buon Cavaliere, che fece propri, per sua diretta ammissione, i sistemi di convincimento di massa, seguito poi come un ombra dal mio caro amico Renzi, qualche quinquennio dopo. Qualcuno potrebbe obiettare, e a ragione, che già ai tempi del Duce esisteva la pubblicità di stato: tutti ci ricordiamo i famosi motti che hanno ravvivato per tutto il ventennio la allegra e assopita, quasi addormentata, Italia d’allora.

Certo …questo è vero, ma ai tempi del Duce era altissimo il livello di analfabetizzazione e i mezzi di comunicazione erano facilmente manipolabili. Ognuno vedeva solamente il suo territorio, non aveva una visione di insieme della realtà del Paese.

In tutte le campagne elettorali succedutesi dopo il brusco risveglio degli italiani a causa della guerra, ineguagliabile mezzo che fa emergere la drammatica verità, tante sono state le promesse annunciate, declamate però con una signorilità oratoria ed espositiva, che diceva e non diceva, affermava e lasciava spazio a possibili vie di fuga e che, soprattutto, attraverso una vera concertazione politica trasversale, facevano crescere il Paese e “accontentavano” un po’ tutti. Sopratutto dopo le elezioni, figure apicale della pubblica amministrazione come i Ministri, oltre a limitare al massimo gli interventi televisivi, misuravano attentamente le parole e spesso venivano accusati di dire molto per non dire niente (il politichese). Poi arrivò la seconda Repubblica e le cose, grazie soprattutto al Cavaliere, cambiarono … iniziarono i proclami, i contratti con gli italiani, le sparate sui milioni di posti di lavoro, sempre però con un fondo di verità e di possibilità di essere almeno in parte realizzati.

In questa escalation di obbrobriosità apparentemente senza fine, siamo arrivati a confondere la assicurazione di posti di lavoro, per esempio, con la vendita della lozione che fa ricrescere i capelli o delle pillole che fanno dimagrire a vista d’occhio …. ecco appunto il “Decreto Dignità”. Ma dignità di cosa? Vogliamo analizzare un attimo le parole? Vogliamo spendere un po’ di tempo, non troppo perché è meglio fare altro, per capire la meschinità, la falsità fattuale di tali parole inserite nel contesto che compete loro? Noi diciamo a chi non ha un lavoro stabile che con questo decreto avrà lavoro a tempo indeterminato, che questa iniziativa legislativa permetterà di uscire dal precariato e poter realizzare ciò che spetta di diritto a tutti i cittadini, sancito dall’art.1 della Costituzione: il lavoro.

Ciò è vero? Palesemente no! E chiunque lo capisce, se esce dalla fase di suggestione che sta vivendo in questo momento e che induce a credere ( a sperare) che certi personaggi sono migliori di chi li ha preceduti. Tale decreto, così impostato, favorirà i licenziamenti ( perché non più riassumibili), indurrà gli imprenditori a formare i dipendenti in modo superficiale e quindi a non investire sul nuovo, ma rafforzare il vecchio, in attesa di avere normative che motivino e sostengano le assunzioni a tempo indeterminato (per esempio defiscalizzazioni, incentivi alla ricerca, sostegno all’esportazione e supporto ai consumi interni).

L’altra palese bufala informativa è quella delle nomine apicali della RAI. Rivoluzione culturale è un termine che mi sa di antico comunismo: penso alla rivoluzione bolscevica che ribaltò completamente l’assetto strutturale di una società, sostituendo un potere con un altro potere, nominalmente voluto e controllato dal popolo, ma gestito da burocrati che eliminavano puntualmente dalla scena pubblica tutti coloro che, facenti parte del popolo, la pensavano però difformemente dalla volontà centrale. Per la nomina inoltre è stato usato lo stesso metodo di partizione, tanto criticato per le altre gestioni, privilegiando l’appartenenza alla esperienza e capacità imprenditoriale. Non entro nel merito delle scelte (soprattutto Foa) perché, fortunatamente, ancora sono presenti organi di controllo che potranno porre il veto a tale nomina.

Mi auguro che prima o poi si cominci a pensare seriamente al destino degli italiani, anche se, sinceramente, poco mi aspetto dall’attuale governo.

Buona domenica

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