{rokbox title=| :: |}images/ademi.jpg{/rokbox}Caro ministro Brunetta.
Da un po’ di tempo mi chiedevo quando sarebbe arrivato anche in Italia il momento di poter dialogare in modo proficuo con l’amministrazione pubblica in via telematica. Finalmente, dopo anni di attesa, ho saputo che a partire dal 26 aprile 2010 il governo italiano ha reso possibile per il cittadino il servizio di posta elettronica certificata. Ma che bella notizia, finalmente, se pur in modo lento, qualcosa si muove. Sono nato in Albania e cresciuto in Italia, ho studiato qui, parlo, scrivo e capisco la lingua italiana molto bene.
Sono sempre stato d’accordo con quelli che mi dicevano che per potermi integrare dovevo imparare bene la lingua del paese che mi ospita. Mi sono spinto oltre e , da buon aspirante cittadino, ho studiato molto anche le varie culture che compongono l’Italia. In questi anni ho regolarmente pagato le tasse, sperando che un giorno anche io potessi dare la mia opinione, attraverso il voto libero, su chi poi queste tasse le dovrebbe gestire. Insomma ho fatto tutto il percorso che penso anche lei possa condividere. Stranamente, tutto ciò non è bastato a farmi rientrare tra quelli che possono usufruire di tutti i servizi che questo stato offre. Il 26 mi sono collegato a internet, perché anche se immigrato, ne usufruisco molto, per potermi munire anche io del mezzo di comunicazione del ventunesimo secolo tra pubblica amministrazione e cittadino; dimenticando che ancora non sono cittadino. La procedura mi impediva la registrazione, facendomi notare un errore di tipo generico, dal quale non evincevo il motivo. Allora ho chiamato il numero verde e subito non ho potuto comunicare, in quanto diceva : “digitare 1 se è cittadino, digitare 2 se è una pubblica amministrazione”. Dichiarando virtualmente il falso, ho digitato 1 e la voce del telefono mi ha spiegato che il servizio è riservato solamente ai cittadini italiani maggiorenni. Ma una persona che è nata e cresciuta in Italia, che ha studiato qui, che frequenta magari gli oratori cattolici del proprio paese, che fa volontariato, lavora e paga le tasse, continuerete a discriminarlo a norma di legge all’infinito? Ma i 5 milioni di immigrati che lavorano, pagano le tasse, fanno impresa e contribuiscono all’irrobustimento del PIL che il suo governo deve gestire, non li prendete proprio in considerazione? Ma come può parlare allora di meritocrazia, integrazione e rispetto delle regole, quando il governo discrimina in prima persona? Spero che questa sia stato un errore tecnico e che possa essere possibile anche per uno come me, che vorrebbe essere cittadino, ma grazie a normative al limite dell’assurdo non lo può fare, che almeno si possa usufruire dei soliti servizi dei nostri “concittadini autoctoni di stirpe italica”.
(nota pubblicata sul profilo Facebook dell’autore)