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A proposito di discariche

Le prime pagine sono occupate dal progetto di realizzare una discarica vicino a Villa Adriana, per come giornali e TV hanno presentato la vicenda viene da pensare che vi sia un impazzimento generale. Poiché non penso che il Presidente Monti e i suoi Ministri siano dei folli ho voluto capire un po’ meglio i fatti. Il quadro che ne viene fuori non assolve nessuno, però serve almeno a fare chiarezza.

 

Con la chiusura di Malagrotta (attuale discarica bocciata anche dalla UE) la città di Roma rischia l’emergenza, l’individuazione dell’area “incriminata” è arrivata alla fine di una valutazione che ha coinvolto sette siti indicati dalla regione, valutazione portata avanti da studiosi ed università. Meraviglia è che nella analisi non si sia tenuto conto delle ripercussioni mondiali di una scelta di questo tipo. Ma tanto questo è un paese dove nessuno è responsabile: non la politica che scarica le decisioni difficili sui commissari; non i commissari, che alla fine chiedono l’avallo del governo, non il governo, perché le competenze sono di Regioni, Province e Comuni. Mi domando è mai possibile che una Regione come il Lazio non riesca ad esprimere altra area possibile per la collocazione dei rifiuti se non quella prossima ad uno degli insediamenti archeologici più importanti del mondo classico?

Il ragionamento tecnico si ferma qui.

Però questa vicenda ha fatto metter la lente d’ingrandimento sul luogo che fa da sfondo alle vicende narrate dalla Yourcenar e qui si scoprono altre cose: Villa Adriana, da quel che dicono i giornali, versa in stato di impressionante trascuratezza: assenza di segnaletica, erbe alte, cani randagi, carenza di strutture di accoglienza, perdita di visitatori (-42% negli ultimi anni).

Una situazione pazzesca in una paese che dovrebbe fare della valorizzazione dei beni artistici e del turismo uno dei suoi punti di forza. Non a caso l’Italia è scesa al 27° posto della graduatoria della competitività turistica. Perché il Louvre, da solo, incassa un terzo delle entrate complessive di tutti (dico tutti) i musei italiani? Questa vicenda fa nascere una riflessione su come una immensa fonte di potenziale reddito venga lasciata nel più completo abbandono (Pompei docet), è come se gli arabi non sfruttassero il petrolio ma si dedicassero alla pastorizia.

Sarebbe questo un tema su cui impegnare davvero la politica, anche quella locale, invece di perdere tempo in riunioni di piazza e convegni a cui partecipano sempre i soliti noti. Come possiamo mettere a frutto l’enorme patrimonio che anche da noi esiste e che, tranne qualche lodevole eccezione, non riesce a produrre ricchezza anzi è causa, spesso, di disavanzi? Non è vero che la cultura e l’arte debbono per forza essere in perdita, certo se ci limitiamo a ricordacene solo durante le campagne elettorali e poi le releghiamo al ruolo di cenerentole non possiamo sperare che fioriscano spontaneamente come gigli di campo.

Donato Apollonio

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