La stagione teatrale al Signorelli riparte, per il 2018, con Glauco Mauri, Roberto Sturno e il surrealismo esistenziale di “Finale di partita” di Samuel Beckett.
Per entrambi una prova d’attore a cui già pensavano da diversi anni, a cui la Compagnia Teatrale Mauri-Sturno (sodalizio ormai trentennale che porta in scena spettacoli di prosa classici e contemporanei) aveva a più riprese lavorato.
Indossare le maschere beckettiane di Hamm e Clov, in un atto unico considerato uno dei lavori più significativi del drammaturgo irlandese.
Ruoli che richiedevano, secondo Mauri e Sturno una maturità, che non sentivano evidentemente raggiunta, prima di ora e che ieri, sul palco del Signorelli, si è tradotta in una interpretazione naturale ma vigorosa per entrambi.
In scena la spietata condizione umana e la caducità dell’essere, eternamente oscillante tra il desiderio di cambiare e la gabbia lacerante ma rassicurante dell’abitudine, in un mondo che soffoca la libertà individuale, che tutto avvolge in un macabro grigiore, che spinge alla rassegnazione e porta alla solitudine.
E questa è la vita di Hamm, ormai vecchio e cieco, costretto sulla sedia a rotelle. E di Clov, il suo servo destinato, invece, a non sedersi mai perché non può piegare le gambe.
L’uno immobile, l’altro in perenne movimento con la sua scaletta che sposta da una finestrella all’altra della casa-prigione per controllare cosa succede fuori.
Hamm, sul trono del re, l’altro, pedone di una scacchiera, di una partita che Beckett stesso ha voluto richiamare nel suo dramma, fin dal titolo stesso che ricorda appunto la fase finale di una partita a scacchi, persa, però, sin dall’inizio.
Insieme a loro, i genitori di Hamm, Nagg e Nell, reclusi in gabbie che sembrano cubicoli di un obitorio, nudi, senza gambe, a seguito di un incidente di tandem sulle Ardenne.
Di umano, Nagg e Nell, ormai hanno solo i bisogni fisici di nutrirsi e coprirsi per il freddo, a volte ridono, piangono ma alla fine anche la morte di Nell non susciterà alcun sentimento, passerà quasi inosservata (se non per il pianto sommesso del marito!), in una giornata uguale alle altre in una casa-bunker ( per qualcuno “arca” che solca i mari di un pianeta travolto da un nuovo diluvio universale) ma comunque prigione e allo stesso tempo unico rifugio dal mondo che, visto dalle due piccole finestre, è inesorabilmente in rovina.
E’ la morte senza essere morti, quella che vivono ogni giorno i quattro. Un tempo che non passa mai, in cui “l’ora è la stessa di sempre!” scandito dal ticchettio di una sveglia e dal fischietto di Hamm che chiama continuamente Clov.
Ognuno ha bisogno dell’altro. Hamm ha le chiavi della dispensa ma solo Clov ha l’uso delle gambe per raggiungerla.
Non c’è sentimento, almeno non sembra essercene, solo giochi di potere, accuse reciproche in un cosciente gioco di teatro nel teatro in cui entrambi sono consapevoli di essere “spalla” uno dell’altro. “A che servo io?” dice Clov. “A darmi la battuta” risponde Hamm!!
Il “Finale di partita” di Glauco Mauri e Roberto Sturno, con Elisa Di Eusanio e Mauro Mandolini, per la regia di Andrea Baracco, non punta all’esasperazione della tragedia né al grottesco estremo ma cuce addosso a Glauco Mauri un ruolo perfetto per i suoi 87 anni lasciando, al tempo stesso, spazio espressivo a Roberto Sturno che, tra l’altro, ci regala un monologo di alta recitazione.
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