Avevano cominciato più di venticinque anni fa, suonando nei centri sociali occupati in giro per l’Italia. “Combat rock” era già vecchio di cinque anni, e i Clash si erano sciolti ormai definitivamente, ma avevano lasciato un segno indelebile nella cultura popolare, confermando che è possibile coniugare il linguaggio dirompente del rock con testi militanti, diretti, scevri da eufemismi poetici.
In quegli anni ottanta nel giro della musica indipendente italiana andavano forte il dark e la new wave, con l’importante avamposto della scena fiorentina. Ma i De Corto preferivano il combat rock, come già stavano facendo i Gang dei fratelli Severini. Le loro canzoni uscivano direttamente da ritagli de “Il Manifesto”, da un “tazebao” attaccato alla Festa de l’Unità, da un volantino appiccicato alla parete di un CSA. Dall’89 al ’93 i De Corto autoproducono 3 dischi, venduti alla fine dei concerti e distribuiti dalla Materiali Sonori. Nel ‘94, seguendo la giusta esigenza di sperimentare esperienze artistiche diverse, i De Corto si sciolgono, senza problemi.
Siamo nel 2011, e ormai da qualche anno Andrea Merendelli porta in giro per l’Italia l’epopea dei Clash, col suo “racconto punk di provincia” e le migliori canzoni di Strummer e soci eseguite dal vivo dagli Stra. Ed è al termine di una replica di “Clash to me” che i componenti del nucleo storico dei De Corto si incontrano, liberando l’esigenza di riprendere il discorso interrotto quasi vent’anni fa. Le chitarre e i tamburi suonano come allora e i testi delle canzoni sembrano scritti adesso, più attuali che allora: i lavoratori sono sempre (più) sfruttati, la polizia continua a picchiare, la classe politica e le istituzioni non parlano la stessa lingua dei cittadini, l’incontinenza guerrafondaia dello Stato e di gran parte della stampa non resiste alla tentazione e continua ad aggirare l’articolo 11 della Costituzione. Alcune di quelle canzoni sembrano ispirate alle storie di oggi e si rivolgono dirette agli indignados, ai metalmeccanici che resistono a Marchionne, a studenti e precari:
“C’è del marcio in Italia”, “Polizia fra i piedi”, “El pueblo unido”, “Mettiti a lottare”, “Cane arrabbiato”…
I De Corto si presentano nella formazione classica: Francesco Cecco Cesari (batteria), Massimo Ferri (chitarra), Stefano Pancho Ferri (voce), Riccardo Mancini (basso), con la preziosa collaborazione di Luca Roccia Baldini alla chitarra